Progetto Parco Urbano di Scultura - Pesaro

Premesse
a cura di Luca Sguanci
Opere monumentali collocate nei luoghi della città o Parco Urbano di Scultura di Pesaro?
Il “Parco Urbano di Scultura di Pesaro”, progetto nato dalla sinergica collaborazione di soggetti pubblici e privati ed accolto formalmente con una disposizione di giunta dall’amministrazione comunale e dalla Fondazione Centro Arti Visive Pescheria, ha le caratteristiche per essere presentato come una realtà espositiva unica e diffusa . Queste caratteristiche sono contenute nella sua storia che, in origine, ha avuto forti assonanze con le tendenze culturali nazionali in materia di arti visive. Mi spiego meglio. Nei primi anni settanta Pesaro ha visto una fiorente attività culturale fortemente voluta da operatori privati del settore che ispirandosi alla grande mostra “Sculture nella Città” curata da Giovanni Carandente a Spoleto nel 1962 , ha proposto al Comune un modello similare di interventi espositivi diffusi nel tessuto cittadino. La “Sfera Grande” di Arnaldo Pomodoro e “Saturno” di Colla ,sono ancora oggi silenziosi testimoni della vivacità pesarese dei primissimi anni settanta. Nel 1976 però, a mio avviso, accade qualcosa di veramente innovativo nella nostra città.
Cosa accadde e perché?
A Pesaro vivevano già energie nuove, per lo più arrivate in provincia da Firenze,energie che stavano modificando la sensibilità cittadina dal comparto della formazione … nello specifico da quello del Magistero D’Arte Mengaroni. Mi riferisco ai docenti impegnati attivamente nella ricerca artistica ed in contatto con figure di rilievo del panorama culturale nazionale. Enrico Crispolti nel 1972 scrive con Somaini “Urgenza nella Città” e nel 1973 critica l’impianto metodologico di “Sculture nella Città” nel suo intervento in prefazione al catalogo dell’omonima mostra fanese. L’opera d’arte progettata per lo spazio pubblico e non semplicemente esposta nelle vie e nelle piazze, pone la questione di una estesa partecipazione cittadina e una profonda riflessione sulle caratteristiche peculiari di un luogo. Loreno Sguanci, Marcello Guasti, Adelelmo Campana ed altri che conoscevano direttamente le esperienze di Volterra ’73 e Gubbio ’76 curate da Crispolti e che avevano rapporti professionali con il critico d’arte, raccolgono la sfida: nasce un nuovo progetto unico nel suo genere:” La città come spazio operativo”. Le grandi manovre erano finite. Gli artisti si trasferirono in città, ne studiarono le caratteristiche, i materiali, la vita, incontrarono amministrazioni e cittadini, lavorarono con gruppi allargati di confronto e progettarono luoghi e opere carichi di significati per un bando che ha portato alla realizzazione e collocazione di “All’interno dell’Ovale” di Marcello Guasti e “Porta a mare” di Loreno Sguanci e a due progetti di Giò Pomodoro e Mauro Staccioli. “Ri-pensare” la città, vivere il collettivo, cooperare in equipe multidisciplinari erano l’“Urgenza” sottolineata da Crispolti ed al contempo erano azioni strutturate e coordinate che avevano avuto a Pesaro un solo autorevole antecedente: “Il monumento alla Resistenza” di Caruso degli anni ’60. Questa linea metodologica di intervento è rimasta viva fino alla fine degli anni novanta, anche grazie all’incarico ricoperto da Sguanci nell’ambito dell’amministrazione pubblica: fu infatti assessore alla cultura e ideatore, prima, e direttore, poi, del Centro Arti Visive Pescheria. “Grande e Sottilissima” di Consagra, “Ordine Cosmico” di Mattiacci e “Omaggio all’Alba” di Staccioli poi divenuto “Segno Aperto”, possono essere collocate nel quadro di questo impegno politico e culturale.
E poi…?
Un rilancio negli anni 2000: l’amministrazione comunale colloca l’opera di Giuliano Vangi, accoglie il progetto de Il Parco di Scultura di Pesaro con una delibera di giunta e struttura con l’Archivio Loreno Sguanci una compliance volta a promuovere, recuperare e valorizzare le opere d’arte esistenti ed a costruire nuovi percorsi di fruizione e nuove direttrici progettuali. Questa convergenza suggerisce che la cultura è vivacità ed impegno ed al contempo dinamismo dei rapporti sociali. Non possiamo quindi prescindere dal coinvolgimento attivo di tutti i comparti della vita di una comunità né discostarci dalle strategie culturali dell’originario progetto del Centro Arti Visive Pescheria visto che , di fatto, si prosegue ad una loro estensione con una forte apertura alla città. Il progetto Il Parco Urbano di Scultura di Pesaro, per questa sua coerenza metodologica in linea con la storia del nostro patrimonio artistico, è il fulcro di un’azione politica, sociale e culturale che può rilanciare Pesaro sul panorama nazionale anche in vista di una possibile candidatura a Città della Cultura 2024.
Finalità
Con il Progetto Parco Urbano Scultura di Pesaro l’Associazione Culturale Archivio Loreno Sguanci intende definire all’interno della dimensione urbana un Parco Sculture diffuso che leghi in un unicum concettuale e territoriale le opere ad impatto urbano ivi presenti.
Obiettivi
Gli obiettivi del Progetto Parco Urbano Sculture - Pesaro sono:
- ricollocare storicamente il ruolo della città nel panorama delle esperienze artistiche che hanno rivoluzionato l’estetica, la fruizione ed il senso dell’arte nello spazio urbano a partire dagli anni ’60;
- censire e catalogare le opere presenti nella città a partire dagli anni ’60 ad oggi;
- ricostruire i percorsi progettuali delle opere realizzate;
- divulgare il valore di un patrimonio pubblico tutt’ora poco conosciuto;
- recuperare le opere d’arte compromesse e necessitanti di restauro;
- creare eventi di formazione e divulgazione sulle opere ed i loro autori;
- recuperare i progetti di opere mai realizzate, ma depositati presso gli uffici comunali, se contestualmente rilevanti sotto il profilo artistico e per la ricostruzione storica degli eventi relativi agli anni ‘70;
- creare una rete territoriale di soggetti pubblici e privati per stimolare il dibattito civico e sensibilizzare la cittadinanza sul valore e la conservazione delle sculture presenti nel territorio;
- creare strumenti utili alla divulgazione culturale e alla fruizione da parte del pubblico;
Costituzione del patrimonio cittadino individuato: le opere
Le opere rilevanti (nate da una condivisione comunitaria) individuate dall’Archivio Loreno Sguanci da inserire nel Parco Sculture sono:
Giorgio Bompadre, Dove nasce l’Arcobaleno, 1995, via Mario del Monaco
Nino Caruso, Monumento alla Resistenza, 1964, viale del Risorgimento e viale XXIV Maggio

“Monumento – giardino dedicato alla Resistenza, Pesaro”
1963-1964 Inaugurazione 20 settembre 1964.
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autori
Architetti Fausto Battimelli, Paule Espagne, Carlo Biscaccianti, progettisti della sistemazione dell’area e della parte architettonica; Nino Caruso, scultore e ideatore della parte metallica dell'opera.
Denominazione
“Monumento – giardino dedicato alla Resistenza, Pesaro”
Dimensioni
La scultura in ferro e relativo basamento di forma circolare è lunga 36 metri, alta 5 metri.
Luogo di collocazione
Area comunale presso la Stazione ferroviaria di Pesaro compresa tra Piazzale G. Falcone/P. Borsellino, Cavalcaferrovia Giorgio De Sabbata, Via Montegrappa, Viale Ventiquattro Maggio e Viale del Risorgimento. Giorgio De Sabbata (1925-2013) è stato partigiano, sindaco di Pesaro e senatore della Repubblica.
Materiale
Struttura architettonica in cemento armato e pietra del Furlo. Scultura metallica in lamiere di acciaio spessore 6 mm, con verniciatura finale. Peso complessivo della struttura metallica: 6 tonnellate. Il lavoro preparatorio di taglio e saldatura delle parti metalliche è stato eseguito presso il Cantiere navale di Pesaro, in collaborazione con gli operai ed i saldatori dello stesso cantiere.
Soggetto
Il monumento vuol ricordare una fase particolarmente significativa della storia recente della città in relazione al secondo conflitto mondiale e al successivo passaggio dalla dittatura fascista alla democrazia repubblicana.
DESCRIZIONE - COMPOSIZIONE: I progettisti hanno ideato la parte architettonica del monumento come una scenografia al cui centro sta il piccolo bastione in pietra del Furlo, per ricordare la lotta partigiana sui monti dell’Appennino umbro- marchigiano. L'area centrale è stato concepita come spazio collettivo - quasi come una moderna piazza cittadina-, dove si raccolgono in leggera pendenza rampe ed aiuole cordonate, tutte convergenti verso il fulcro prospettico rappresentato dal muro con la scritta RESISTENZA. A coronamento di questa grande esedra centrale è stata sistemata la struttura metallica di Nino Caruso, la quale si propone simbolicamente come un’enorme “siepe di forme umane”, con aste, lance ed armi innalzate in segno di lotta, a ricordo delle popolazioni che si ribellarono al regime nazi-fascista. Nello stesso tempo la massa metallica lanciforme vuole simboleggiare anche il movimento unitario di bandiere vittoriose innalzate dalle popolazioni durante i comizi e i cortei nei giorni della Liberazione.
STORIA:Il monumento fu voluto dall’Amministrazione comunale di Pesaro, di concerto con il Comitato provinciale per le celebrazioni del ventennale della Resistenza. Si decise di utilizzare lo spazio verde di Viale del Risorgimento nei pressi della stazione ferroviaria - a quell’epoca occupato solo da alcuni alberi ad alto fusto -, dove durante gli ultimi mesi del conflitto avvenne uno scontro a fuoco tra partigiani e nazifascisti. Del progetto furono incaricati gli architetti Fausto Battimelli, Paule Espagne e Carlo Biscaccianti, i quali ben presto condivisero le loro idee progettuali con l’artista Nino Caruso. Ecco come lo scultore siciliano ricorda quell’incontro: “Nella primavera del 1963, l’architetto Fausto Battimelli venne a trovarmi in via Ruggero Fauro [a Roma]; era in compagnia degli architetti Paule Espagne e Carlo Biscaccianti che rimasero sorpresi di vedermi intento con una saldatrice elettrica alla costruzione di una scultura di Metallo. Mi chiesero se avessi abbandonato la ceramica per il ferro, e nello stesso tempo osservavano interessati le sculture che avevo già costruito. Conclusero che quel tipo di scultura si sarebbe adattato benissimo al tipo di monumento che stavano progettando per la città di Pesaro. Così, nacque la collaborazione con gli architetti per la realizzazione del monumento alla resistenza in quella città”. (N. Caruso, 1997; G. Volpe, 2015)
FUNZIONE DELL’OPERA: Rappresentazione a parte, lo spazio pubblico realizzato in questa zona di Pesaro ad immediato contatto con il centro storico cittadino, le mura cinquecentesche, la stazione ferroviaria ed il viadotto che dalla periferia convoglia il traffico verso il centro, si delinea anche come area arredata ed attrezzata a giardino e a luogo di sosta dove i cittadini possono trascorrere il tempo libero.
BIOGRAFIA:
Fausto Battimelli (Napoli 1931- Firenze 2013)
Laureato alla Facoltà di Architettura di Napoli nel 1957, partecipa negli anni '60 al concorso per il Centro direzionale di Torino e collabora alla progettazione del quartiere romano di Spinaceto, dove realizzerà negli anni '80 anche residenze ed edifici polifunzionali . Sempre a Roma partecipa inoltre al concorso per il progetto di sistemazione della zona compresa fra Via Cristoforo Colombo e Via Valle della Caffarella. In quegli stessi anni realizza a Pesaro , in collaborazione con gli architetti Carlo Biscaccianti e Paule Espagne, sua moglie, unitamente allo scultore Nino Caruso, il Monumento-giardino dedicato alla Resistenza. Seguiranno il Piano Intercomunale di Pesaro, i Programmi di fabbricazione di Macerata Feltria, Montegrimano e Mercatino Conca e con l'architetto Giovanni Zani la scuola elementare di Montegranaro.
Negli anni '70 progetta il P.E.E.P di Civita Castellana, il Piano particolareggiato del centro storico di Fano, il P.R.G. di Mondolfo, il nuovo quartiere LungoFoglia e l'asilo-nido di Via Toscanini a Pesaro. Sempre a Fano sono suoi anche gli edifici in Via dell'Abbazia (Centro residenziale e commerciale), in Via della Giustizia (complesso residenziale sull'area dell'ex Consorzio agrario), il complesso conventuale di Santa Teresa a Sant'Andrea in Villis. Nel 2009, a Torgiano (Perugia), realizza l’esposizione delle ceramiche dell’artista Nino Caruso, e, alla fine anni '90, di nuovo a Fano, il progetto per la nuova sistemazione dell’ex caserma Montevecchio. La sua attività fra Roma e le Marche è stata ampiamente documentata sulle riviste di settore.
Carlo Biscaccianti (Bologna, 1929 – Roma, 2015)
Iscritto all'Ordine degli architetti di Roma-Rieti-Viterbo, nei primi anni '60 progetta con Fausto Battimelli e Paule Espagne, con la collaborazione dell'artista Nino Caruso, il Monumento-giardino dedicato alla Resistenza della città di Pesaro. Nel 1972-1981 partecipa con Nicola Di Cagno e Piero Moroni al progetto per il Piano di zona del quartiere Pineto, in Via di Valle Aurelia a Roma. A Fano ha realizzato il centro commerciale in Via Roma – angolo Via Togliatti, il condominio ”Boccaccio” e la villetta Roccati-Adanti, in Via Bocca Trabaria; la casa Pietrelli ai Passeggi ed il recente ampliamento di una parte dell'ospedale civile. Nel corso della sua carriera professionale ha vinto il Premio INARCH per il Monumento alla resistenza di Pesaro (1966) ed il Premio internazionale di architettura dell'Institut international du logement di Bruxelles per modelli residenziali (1973). I suoi lavori sono stati pubblicati su varie riviste specializzate. Come si legge nel nel sito Atelier Carlo Bisca [pseudonimo di Carlo Biscaccianti], “fin da ragazzino si è dedicato alla pittura come principale forma di espressione creativa della sua personalità. Dopo una lunga pausa dovuta al suo lavoro di architetto, nel 2005 ha ripreso la sua originaria inclinazione di pittore e scultore mantenendo la sua lunga e prolifica attività professionale”.
Paule Espagne (Etterbeeek (Bruxelles), 1929 – Grosseto, 1998)
Architetto di origine belga, alla fine degli anni Cinquanta collabora con Carlo Aymonino al concorso per la nuova sede della Biblioteca Nazionale di Roma a Castro Pretorio e successivamente con Maurizio Aymonino, Franco Berlanda, Fausto Battimelli (suo marito) e Baldo De Rossi (consulente anche Giorgio Moscon) al concorso per il Centro direzionale di Torino. Un saggio a sua firma, dedicato allo Studio Passarelli, compare su “L’A”, 73 (1961), pp. 438-474. Collabora poi con Fausto Battimelli e Carlo Biscaccianti a vari progetti nel Pesarese (Monumento-giardino dedicato alla Resistenza e asilo-nido di via Toscanini a Pesaro; complessi polifunzionali “Le Terrazze” e “Baia Metauro” a Fano).
Nino Caruso (Tripoli (Libia) 1928 – Roma 2017)
Nasce il 19 aprile del 1928 a Tripoli dove i suoi genitori, originari di Comiso, in Sicilia, erano emigrati in cerca di lavoro. Trascorre l’infanzia nella capitale libica fino all’estate del 1940 quando, in vacanza sulle coste adriatiche, lo scoppio della seconda guerra mondiale lo costringe a trattenersi in Italia. Durante i sette anni di permanenza prosegue la sua formazione scolastica in un Istituto Tecnico Commerciale di Ferrara e nell’Istituto Professionale per l’Industria della città di Vittoria, vicino Comiso, dove l’artista si è ricongiunto con la madre nel 1942. Come lui stesso ebbe modo di dire, “il periodo della mia adolescenza trascorso a Comiso è stato molto importante per la mia formazione. Il momento storico eccezionale (i disagi della guerra, lo sbarco degli alleati, i partiti, i comizi, le lotte contadine per la terra, le letture, le discussioni) li vivo in un confronto dialettico con i compagni conosciuti in quegli anni”. All’età di sedici anni interrompe gli studi per motivi economici ed intraprende l’attività lavorativa, prima presso un oleificio locale, poi come tornitore meccanico in un’industria automobilistica di Tripoli, dove ritorna nel 1947. Lì viene coinvolto attivamente nella difficile situazione politica in lotta per l’indipendenza della Libia. Tali implicazioni causano la sua espulsione ed il rientro in Italia. Alla fine del 1951 è a Roma, dove il ceramista ed amico Salvatore Meli (Comiso,1929) lo introduce nel suo laboratorio di Villa Massimo. Assunto come aiutante, Caruso matura presto un vivo interesse per la ceramica e la volontà di colmare autonomamente la mancanza di un’adeguata formazione tecnica. Ad aiutarlo in questo intento è la frequentazione della fabbrica di maioliche denominata S. I. C. (Scuola Italiana Ceramiche) di Casale Monferrato, durante il servizio militare. Nel 1954 ottiene, da privatista, il diploma all’Istituto d’Arte di Roma nella sezione dedicata alla plastica ceramica. Tra la fine del 1954 e l’inizio del 1955 apre a Roma, in Via Ruggero Fauro, 57, un piccolo studio dove realizzare e vendere le proprie opere. Stimolato dalla volontà di esaltare le molteplici potenzialità espressive della materia ceramica, Caruso non si fa scoraggiare dai pressanti disagi economici e prosegue la propria ricerca con passione e convinzione, attraverso lo studio delle tecniche tradizionali affiancato da una spasmodica sperimentazione dei materiali e dei procedimenti di lavorazione. La sua prima personale è alla Galleria dell’Incontro nel 1956, presentata dall’amico Renato Guttuso. La carriera espositiva prende avvio con numerose presenze dell’artista alle principali esposizioni di ceramica contemporanea, come il Concorso Nazionale della Ceramica di Faenza (nel 1954, 1955, 1956, 1958 solo per ricordare i primi anni) e alla Biennale d’Arte Ceramica di Gubbio, alla cui edizione del 1960 Caruso ottiene un importante secondo premio ex aequo. Nello stesso anno, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, riceve il “Premio d’incoraggiamento” istituito dal Ministero della Pubblica Istruzione e rivolto ai giovani artisti. Altro riconoscimento di rilievo è costituito dalla medaglia d’oro ottenuta a Praga nel 1962 nell’ambito della terza edizione dell’Esposizione Internazionale della Ceramica, patrocinata dall’UNESCO. Nella prima parte degli anni Sessanta, allo studio della ceramica l’artista affianca l’interesse verso altri materiali, come il legno e soprattutto il metallo: sue sculture in ferro sono presenti alla prima e seconda edizione della Biennale del Metallo di Gubbio (1961, 1963), ma sicuramente l’esito più alto di questa sua ricerca è costituito dalla realizzazione del Monumento alla Resistenza di Pesaro del 1964, grazie al quale ottiene il premio “In/arch” istituito dalla rivista “L’architettura. Cronache e storia” di Bruno Zevi. Nello stesso anno entra a far parte del Words Craft Council, istituzione nata per qualificare la produzione artigianale, favorendo la collaborazione a livello internazionale, la formazione degli artigiani stessi e facilitando le iniziative volte ad incrementare l’interesse pubblico nei confronti di questa realtà. Motivazioni simili spingono Caruso a farsi promotore del C.I.P.A., Centro Italiano delle Produzioni d’Arte, che si prefigge lo scopo di promuovere “un nuovo artigianato che trovi il suo equilibrio nella nuova società industriale e che sappia inserirsi in modo vivo nella cultura moderna”. Il progetto d’innalzare il livello qualitativo dell’artigianato e far rifiorire tale settore, coinvolge significativamente Caruso, il quale dedica buona parte del suo impegno affinché tali programmi si realizzino; tra le tante personalità che condividono lo stesso interesse e che aderiscono all’iniziativa, c’è anche l’architetto Giò Ponti (Milano, 1897 - 1979), nominato Presidente Onorario del Centro Italiano delle Produzioni d’Arte. Trascorsi i difficili anni degli esordi ed incoraggiato dai numerosi riconoscimenti della critica, Caruso esce dall’isolamento al quale lo aveva costretto il lavoro assiduo ed economicamente affannato dei primissimi anni, avvertendo l’esigenza di ampliare le proprie cognizioni attraverso viaggi di istruzione nei maggiori centri di produzione ceramica a livello internazionale e attraverso il confronto della propria ricerca con quelli di altri artisti ceramisti. E’ in quest’ottica che va vista, alla metà degli anni sessanta, nei locali dell’antico monastero della confraternita del Pio Sodalizio dei Piceni, dove già da qualche tempo l’artista aveva trasferito il suo studio, l’istituzione da parte di Caruso del Centro Internazionale della Ceramica, rivolto a ceramisti italiani e stranieri ed avente come obiettivo la creazione di un ambiente idoneo ad incentivare la ricerca tecnica e formale in materia ceramica. Nella seconda metà del decennio, avvicinandosi a quel filone di ricerca artistica contemporanea che si pone in netto contrasto con la poetica dell’Informale, attraverso una rinnovata attenzione per la struttura della forma indagata secondo i fenomeni visivi della percezione cinetica, l’artista decide di studiare le possibilità espressive derivanti dall’iterazione di determinate forme ottenute da una produzione in piccola serie. Servendosi della tecnica dell’argilla colata in forme ottenute dal sezionamento di blocchi di polistirolo (materiale fino ad allora estraneo alla lavorazione ceramica) realizza elementi modulari di molteplici misure e fattezze che, da sempre attento al rapporto ceramica – architettura, propone di utilizzare come componenti per pareti divisorie, rivestimenti murali o complementi d’arredo. Per assicurare alle sue nuove realizzazioni una diffusione capillare ed un largo utilizzo, l’artista in questi anni avvia la collaborazione, in qualità di designer, con alcune delle maggiori industrie ceramiche per arredamento. L’interesse di Caruso nei confronti dello spazio abitato dal fruitore, nel quale sperimentare inedite soluzioni formali, trova un’ideale applicazione nella Chiesa Evangelica di Savona, disegnata dagli architetti Aymonino e De Rossi, i quali affidano a Caruso la progettazione del rivestimento interno del nuovo edificio (Bassorilievo continuo, 1966). Caruso matura, gradualmente, una vasta conoscenza delle tecniche ceramiche, da quelle antichissime, ancora in atto nelle civiltà orientali e apprese direttamente grazie a lunghi soggiorni in Giappone, alle sperimentazioni più recenti e innovative, riscontrate soprattutto nei ceramisti americani, quali, ad esempio Betty Woodman, Peter Voulkos e Bill Hunt. Nel 1970 Caruso intraprende l’insegnamento all’Istituto d’Arte di Roma, dove gli è affidata la cattedra di progettazione ceramica. In questo periodo l’artista inizia a svolgere assiduamente relazioni, seminari e workshops, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Giappone ed in molte nazioni europee; attività che gli permetteranno non soltanto di diffondere le proprie sperimentazioni, ma di acquisire conoscenze più vaste e specifiche grazie al contatto con altre culture legate alla ceramica. Tali esperienze alimentano in Caruso la consapevolezza della scarsa considerazione, riservata in Italia, alla ceramica contemporanea, la quale non soltanto vede negarsi uno spazio sufficiente negli ambiti espositivi, ma, a paragone di una vasta letteratura dedicata alla ceramica antica, non è oggetto di un’adeguata trattazione storico-critico-teorica. Sempre più animato dalla volontà di divulgare il patrimonio di informazioni acquisite dopo anni di personali sperimentazioni, Caruso decide di redigere un manuale, “Ceramica Viva”, pubblicato dalla casa editrice Hoepli di Milano nel 1979. A questo seguono “Ceramica Raku” (1982), “Decorazione ceramica” (1984), “Dizionario illustrato dei materiali e delle tecniche ceramiche” (2006), tutti editi da Hoepli. Nel 1982 l’artista è invitato dal DSE (Dipartimento Scuola Educazione) a curare un programma televisivo intitolato “L’arte della ceramica”, in dieci puntate, per la terza rete Rai. In questi anni i motivi ispiranti il suo lavoro attingono a civiltà del passato, etrusca in particolare: steli, colonne, portali, scudi, sarcofagi (presentati alla mostra “Omaggio agli Etruschi” del 1985 ad Orvieto) interpretati con un’attenzione particolare alle tecniche antiche (bucchero, terra sigillata) rese attuali da procedimenti innovativi (colaggio) e da “forme, piene di spigoli, di colori armoniosamente studiati, delle caratteristiche onde che si avvolgono con sigle sempre eleganti, sono piene di verve e di umor giocoso”. Nel 1991 la ricerca di Nino Caruso è raccontata in “Itinerari”, una mostra antologica ambientata nella suggestiva Rocca Paolina di Perugia. Alla fine degli anni Novanta l’artista tralascia la tecnica del colaggio e ritorna a modellare l’argilla, dando vita a forme insolite dalle tonalità cromatiche inedite e dalle suggestive sfumature ottenute grazie ad un sapiente controllo del fuoco di cottura: sono le “Memorie Oniriche” (Torgiano, 2002), emblematici volti umani, misteriose strutture architettoniche frutto della fantasia, di parziali ricordi e di esperienze oniriche dell’artista. Nelle ricerche degli ultimi anni, Caruso torna a pensare a pannelli che si integrino con l’architettura e con sculture dal carattere enigmatico, memori di antiche civiltà mediterranee. Caruso è autore di seminari e workshops in università di Stati Uniti, Europa e Giappone. Oltre a collocarsi in musei, collezioni pubbliche e private, le sue sculture caratterizzano l’arredo urbano di numerose città: Parigi (Galerie Les Champs, 1968), Shigaraki (Il vento e le stelle, 1991), Brufa (Portale Mediterraneo, 1994), Torgiano (Fonte di Giano, 1996, Fonte delle Vaselle, 2002), Fano (Palazzo Montagna, 2001), Coimbra (Rotonda, 2002). Cura poi eventi rivolti alla ceramica contemporanea, tra cui: Ceramic art exhibition (1994, 1996, 1998), Cottaterra (1998) e Vaselle d’Autore, rassegna annuale che dal 1995 si svolge a Torgiano, città che nel 2004 gli conferisce la cittadinanza onoraria. Recentemente concluso l’incarico di direttore artistico dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, l’artista prosegue la propria ricerca presso gli studi di Todi e Roma. Nino Caruso muore a Roma il 19 gennaio 2017 all’età di 88 anni.
Le biografie di Fausto Battimelli, Carlo Biscaccianti e Paule Espagne sono tratte da L. Storoni, G. Volpe, Edilizia popolare & complessi residenziali della Provincia di Pesaro e Urbino, Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Pesaro e Urbino, Libreria Sapere-Senigallia, Tecnostampa, Ostra Vetere, 2016, pp. 275 e 281. La biografia di Nino Caruso è tratta da G. Volpe, In ricordo di Nino Caruso, cit., pp. 279-282.
BIBLIOGRAFIA:
Nino Caruso Monumento alla Resistenza a Pesaro, fotografie disegni bozzetti, Galleria d’arte “La Borgognona”, Roma 26 maggio – 10 giugno 1966
Monumento alla Resistenza di Pesaro, in “Architettura cronache e storia, 7, settembre 1968 AA.VV., La scultura italiana dall’alto medioevo alle correnti contemporanee, Electa, Venezia s.d. (ma 1971)
C. Aymonino, G. Carandente, V. Sapientoni, Nino Caruso, in “AL2”, 7/8, luglio–agosto (1978)
N. Caruso, Ceramica viva Manuale pratico delle tecniche di lavorazione antiche e moderne dell’Occidente e dell’Oriente, Hoepli Editore, Milano 1979
Nino Caruso itinerari, catalogo della mostra, Perugia, Centro espositivo Rocca Paolina, 3 settembre - 7 ottobre 1991, Roma 1991
N. Caruso, Ceramica Raku Manuale pratico di un’antica tecnica giapponese rinnovata e reinventata in Occidente, Hoepli Editore, Milano 1992
S. Cuppini, G. De Marzi, P. Desideri, La memoria storica tra parola e immagine. I monumenti celebrativi nella Provincia di Pesaro e Urbino dal Risorgimento alla Liberazione, a cura di M. Tenti, QuattroVenti, Urbino 1995
N. Caruso, Ceramica oltre, Hoepli Editore, Milano 1997
P. Cecchini, Pesaro nelle cartoline dalla fine dell’Ottocento agli anni Quaranta, Pesaro 2004
N. Caruso, Dizionario illustrato dei materiali e delle tecniche ceramiche. Con oltre 200 ricette di smalti, vernici e ingobbi, Hoepli Editore, Milano 2006
Nino Caruso on the road Tra arte e mito, a cura di E. Vitale, catalogo della mostra, Perugia 6 settembre - 26 ottobre 2008, Edimond 2008
N.Caruso, Decorazione ceramica, Hoepli Editore, Milano 2010
T. Flenghi (a cura di), Pesaro Immagini di una rinascita, Metauro Edizioni, Fossombrone 2012
Arte architettura spazio urbano L’opera di Nino Caruso, a cura di E. Mangione, C. Vignatelli Bruni, catalogo della mostra, 23 maggio – 12 settembre 2014, Roma, Casa dell’Architettura di Roma, CSC Grafica, Guidonia (Roma) 2014
G. Volpe, I cinquant’anni del Monumento-giardino di Pesaro dedicato alla Resistenza, in “Studi Pesaresi”, 3 (2015), pp. 245-256.
M.Margozzi, N. Caruso (a cura di), La scultura ceramica contemporanea in Italia, Castelvecchi, Roma 2015
L.Storoni, G. Volpe, Edilizia popolare & complessi edilizi della Provincia di Pesaro e Urbino, Ordine degli Architetti della Provincia di Pesaro e Urbino, Ostra Vetere 2016
N. Caruso, Una vita inaspettata, Castelvecchi, Roma 2016
G. Volpe, In ricordo di Nino Caruso, in “Nuovi Studi Fanesi, 29 (2017), pp. 271- 293
La scheda bibliografica è tratta da G. Volpe, In ricordo di Nino Caruso, cit., pp. 283-284.
Scheda a cura di Arch. Gianni Volpe
Ettore Colla, Saturno - 1973, giardini Biblioteca San Giovanni

“Saturno”
Pesaro – collocazione originaria Piazza Toschi Mosca.
Successiva “Saturno” collocazione giardini della Biblioteca Comunale S. Giovanni.
Attualmente collocata nel deposito del Comune di Pesaro
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Ettore Colla
Denominazione
“Saturno”
Dimensioni
H 300 cm x L 400 cm x 200 cm (circa)
Luogo di collocazione
Pesaro proprietà della Pubblica Amministrazione.
Collocazione originaria Piazza Toschi Mosca.
Successiva collocazione giardini della Biblioteca Comunale S. Giovanni.
Attualmente collocata nel deposito del Comune di Pesaro
Materiale
Ferro brunato
Soggetto
Raffigurazione geometrico - simbolica di un moto ininterrotto con suggestioni cosmiche
STORIA: La grande esposizione di Spoleto del 1962, “Sculture nella città”, curata dal critico d’arte
G. Carandente, fu un evento estremamente importante che portò l’attenzione sulla città e sulla
sua capacità di essere, contemporaneamente, luogo ricco di memorie e di storia e spazio
accogliente in cui elementi e segni appartenenti a tempi diversi possono intessere inconsueti e
nuovi dialoghi. Pesaro fu, nei primi anni settanta, luogo di queste iniziative che, promosse da una
locale galleria, usufruirono di un apporto indiretto da parte dell’Amministrazione. Le
manifestazioni artistiche presentarono nello spazio urbano, e per tre anni consecutivi dal 1971 al
1973, le opere monumentali degli scultori Arnaldo Pomodoro, Mario Ceroli ed Ettore Colla. Gli
eventi videro una viva partecipazione da parte di tutta la cittadinanza, consentirono di prendere
consapevolezza di alcune tra le più importanti ricerche artistiche del ‘900 e soprattutto permisero
di sperimentare direttamente come ogni volta un solo artista con le sue opere riuscisse a
coinvolgere in modo esaltante i luoghi della città senza che quest’ultimi perdessero mai la loro
fisionomia e la loro valenza di testimonianza. E’opportuno inoltre ricordare che questi eventi
fornirono l’occasione per l’acquisizione delle prime grandi opere da collocare permanentemente
all’interno del tessuto urbano, che, anche per l’interesse ottenuto, aprirono ad una riflessione più
articolata sulle problematiche legate al dialogo fra arte e spazio pubblico e conseguentemente
sulla necessità di riallacciare un rapporto aperto e continuativo con l’Amministrazione pubblica
FUNZIONE DELL’OPERA: l’opera “Saturno” instaura un dialogo nuovo, provocatorio quanto
inconsueto con gli elementi e le antiche memorie dello spazio in cui viene collocata. Infatti come
afferma il critico G. Carandente tutta la produzione di Ettore Colla non ha come fine quello di
ingannare l’occhio ma di affrontarlo e superarlo poiché “è ingannata l’esperienza, la nozione
abituale di macchina come congegno dinamico, o anche di scultura mobile come rappresentazione
del dinamismo stesso, dello spazio pratico, esistenziale, vissuto. Abbiamo così la cosa (la macchina
o il congegno) superata dalla memoria della sua funzione, alienata dalla funzione che di essa ci ha
dato l’esperienza, ed è appunto questa la finalità (distacco dell’oggetto dal suo contesto logico e
abituale) cui concorrono nella pittura metafisica e surrealista di discendenza metafisica, la fissità, il
trompe-l’oeil, le associazioni illogiche e sorprendenti”.
DESCRIZIONE: l’opera, realizzata in ferro brunato ha dimensioni monumentali che le consentono
di rapportarsi e di dialogare con lo spazio aperto. Originariamente era stata collocata nella
Piazzetta Toschi - Mosca e posta su un basamento di cemento armato di poco rialzato dalla
pavimentazione stradale, poi spostata nei giardini della Biblioteca comunale S. Giovanni è ora
collocata nel deposito del comune. La struttura dell’opera è costituita dall’articolazione e dalla
rotazione delle forme geometriche semplici attorno ad un’asta lunga e sottile che, attraversando
in diagonale lo spazio, si staglia verso l’alto trasformandosi in una suggestiva direttrice di un moto
lineare e continuo. L’asta alla base si infila all’interno di un cerchio metallico quasi ne fosse l’asse
di rotazione. Il moto rotatorio che si origina è reso più complesso e articolato dalle due superfici
spezzate della forma ovoidale contenute nel cerchio che con il loro ritmo sospeso paiono
esercitare una forza di attrazione che mantiene in equilibrio l’asse diagonale. Intorno al perno
centrale tutto sembra ruotare con moto proprio, un moto meccanico lento e costante,
inarrestabile che si avverte privo di attriti e di ogni possibile rumore. Sulla superficie non sono
presenti giochi chiaroscurali e la luce, assorbita dalla materia e dal suo colore bruno opaco, si
diffonde uniforme sulle superfici.COMPOSIZIONE: l’opera “Saturno” è formata dall’assemblaggio di grandi elementi geometrici in
ferro brunato, il cerchio alla base contiene al suo interno una forma ovoidale spezzata e
attraversata da una lunga asta che si staglia verso l’alto. La composizione, escluso il cerchio alla
base, è iscrivibile all’interno di uno schema triangolare che forma a terra un angolo di 90 gradi.
BIOGRAFIA: Ettore Colla (Parma 1899 – Roma 1968) compie gli studi presso l’Accademia delle
belle Arti di Parma e subito dopo inizia la sua attività di scultore a Parigi. Viaggia molto per
l’Europa entrando in contatto con varie personalità del mondo artistico tra cui Brancusi e Moore.
Dal 1926 Ettore Colla risiede a Roma e fra il 1942 e il 1946 si dedica alla pittura. Nel 1947 riprende
la scultura orientandosi verso un libero astrattismo. Nel 1949 con Ballocco, Burri, Capogrossi
forma il “Gruppo Origine” e da vita alla “Fondazione Origine” che nel 1951 dispone di una galleria
a Roma che diventa un centro informativo di valorizzazione e di idee intorno al quale si raccolgono
le energie più vive dell’arte- non figurativa come, ad esempio, Matta, Prampolini, Mannucci,
Conte, Perilli e molti giovani. Nel 1952 fonda la rivista “ Arti Visive” dedicata all’approfondimento
dei nuovi problemi dell’arte ed è in questo clima che, tra il 1953 e il 1954, si afferma l’ultima
esperienza plastica di Ettore Colla per la cui comprensione risulta importante l’articolo del 1957
pubblicato su “Civiltà delle macchine” considerato una vera e propria dichiarazione poetica in cui
l’artista tra l’altro dice “ Il mio primo incontro con i rottami di ferro è avvenuto quasi subito dopo
la guerra, nei luoghi dove si è combattuto e nei centri dove si raccoglieva e si ammassava tutto ciò
che il conflitto aveva potuto scheletrire e frantumare. Mi sono così trovato di fronte al
drammatico e fascinoso spettacolo dei materiali dilaniati, aggrovigliati, contorti nelle più strane
forme e alla presenza di una realtà sconosciuta...”.
BIBLIOGRAFIA:
Catalogo Bolaffi d’Arte contemporanea
1964
Ed. Bolaffi
Torino.
Cronovideografia - Pesaro tra provincia e mondo 1945 – 1980 Ed. Franco Cosimo Panini.
Enciclopedia universale della pittura moderna vol. 2 Ed. SEDA. Ettore Colla Opere 1950-1968
Ed. SKIRA. “Colla Scultore” 1963 Catalogo Galleria Toninelli Milano.
Scheda a cura di Prof.ssa Mariastella Sguanci
Pietro Consagra, Grande Sottilissima, 1995,Piazzale Matteotti

"Grande sottilissima n. 4"
Pesaro, piazzale Matteotti
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Pietro Consagra
Denominazione
“Grande sottilissima n. 4”
Datazione
1995
Dimensioni
H cm 400; L cm 330; P cm 2(circa)
Luogo di collocazione
Pesaro, piazzale Matteotti
Materiale
Ferro trattato Corten
Soggetto
Grande scultura frontale, sottilissima, traforata con motivi astratti per evocare nello spazio urbano l’idea di varchi dalle forme primigenie, sintesi grafiche in rapporto diretto con la percezione dell’osservatore
STORIA:L’idea delle “Sottilissime” si affacciò nella poetica di Pietro Consagra come conseguenza dei lavori piatti e quasi privi di profondità, caratterizzati da una visione frontale e diretta, risalenti agli anni 1950 e 1960: i “Colloqui”, i “Giardini”, i “Ferri trasparenti”. I “Colloqui” in particolare sono opere sottili, vicinissime alla bidimensionalità, che si offrono all’osservatore da un punto di vista unico anziché a tutto tondo, ponendosi in relazione sia con lui che con lo spazio circostante l’opera, in antitesi rispetto alla scultura tridimensionale, che l’artista considerava retorica e autoritaria. Il passo verso le “Sottilissime” fu compiuto fra il 1967 e il 1969, quando Consagra soggiornò negli Stati Uniti. Le opere di quegli anni vennero realizzate su fogli d’acciaio sottili come carta, costellati da trame di forme geometriche e segni intagliati per creare effetti di trasparenza, assenza, incorporeità. Le “Grandi sottilissime” sono l’ipostasi urbana di quei fogli dallo spessore di due decimi di millimetro, amplificata in un’espressione poderosa della presenza-assenza, del concetto di frontalità. Attraverso quelle gigantesche strutture quasi bidimensionali, veri e propri diaframmi di metallo, Consagra evocava nello spazio urbano portali dalle forme protoplasmatiche, sospesi fra l’essere e il non essere, varchi aperti sul confine fra materia e anima che, nella percezione dell’osservatore hanno facoltà di rapportarsi allo spazio e al tempo delle città. Il 17 dicembre 1994, nell’àmbito del ciclo di esposizioni “Occasioni di scultura”, organizzato dall’Assessorato alla cultura del Comune di Pesaro, due grandi sculture in ferro trattato Corten di Pietro Consagra (4 metri di altezza per 3,5 metri di larghezza) vennero collocate in piazza del Popolo, dove restarono esposte fino al 14 febbraio 1995. L’artista le aveva realizzate presso la carpenteria meccanica Storoni di Santa Maria delle Fabbrecce, a pochi chilometri dalla città. Una delle due opere, intitolata “Grande sottilissima n. 4”, fu donata da Consagra al Comune di Pesaro. “Con l’esposizione di due opere di Consagra,” spiegò in un’intervista Loreno Sguanci, Assessore alla cultura del Comune di Pesaro, “termina l’iniziativa denominata ‘Occasioni di scultura’, che ha avuto lo scopo di presentare e documentare il lavoro di alcuni degli artisti italiani della seconda metà del nostro secolo, fondamentali nella prospettiva di quella che può essere indicata come ‘Linea astratta’. Si tratta di un àmbito di ricerca forse meno familiare per la comprensione comune, perché non utilizza la nozione di figura”. Terminato il ciclo di esposizioni, la scultura di Consagra venne collocata in piazza Del Monte, in un contesto piccolo e raccolto che ne esaltava le dimensioni. Nel mese di novembre del 2010 è stata trasferita nel sito attuale, in piazza Matteotti, a cura del Rotary Club (progetto dell’ingegnere Carlo Ripanti, in collaborazione con l’architetto Roberta Martufi; lavoro eseguito sotto la direzione del geometra Costanzo Perlini).
FUNZIONE DELL’OPERA:
Nel 1994 Pietro Consagra aderì con entusiasmo all’iniziativa “Occasioni di scultura” organizzata dall’Assessorato alla cultura del Comune di Pesaro. Il progetto, fortemente voluto dall’artista Loreno Sguanci, al tempo Assessore alla cultura, si prefiggeva di offrire alla fruizione quotidiana della cittadinanza di Pesaro e dei visitatori alcune opere astratte della seconda metà del XX secolo, realizzate da tre maestri di notorietà internazionale: Mirko Basaldella, Nino Franchina e, appunto, Pietro Consagra. Consagra partecipò con due sculture frontali e ne donò una alla città che lo ospitava: la “Grande sottilissima n. 4”. Invitando il pubblico a relazionarsi in modo diretto con l’opera inserita nello spazio urbano, l’artista intendeva celebrare uno spazio “mobile, provvisorio, trasparente, paradossale, sfuggente alle strutture eternali di Potere, disponibile alla mutabilità delle scelte” (“La città frontale”, De Donato, Bari 1969, p. 17). Un’arte ispirata a ideali di democrazia e uguaglianza, in antitesi all’autoritarismo che spesso caratterizzava, secondo Consagra, la tridimensionalità scultorea.
DESCRIZIONE E COMPOSIZIONE:La scultura “Grande sottilissima n. 4” è un’espressione imponente del concetto di frontalità, che produce nell’osservatore un rapporto confidente e immediato con l’opera, vicina all’umano in virtù del suo linguaggio sintetico, scarno, astratto (e quindi privo di riferimenti storici o simbolici), bidimensionale come quello di un dipinto. L’opera fu presentata al pubblico il 17 dicembre 1994, giorno dell’inaugurazione della mostra “Consagra per Pesaro”, nella saletta del teatro sperimentale, in presenza del maestro. Nell’occasione il professor Enrico Crispolti illustrò l’opera dell’artista. Riguardo alla bidimensionalità delle opere esposte in piazza del Popolo, spiegò ai numerosi intervenuti che “la frontalità implica una rinuncia all’invasione e comunque al dibattito spaziale, ma suggerisce anche un modo di proposizione in presenza di immagine che induce all’astanza, quasi alla possibilità di una godibile apparizione, e forse rivelazione, misteriosa”. Come rilevò Loreno Sguanci attraverso un intervento su un quotidiano, nel rapporto frontale tra osservatore e opera vi è sempre un aspetto rilevante di provocazione: “L’arte è provocazione sempre: è quella di Consagra, quella di Colla, come quella del Caravaggio e di tutti i veri artisti”. Realizzata con il ferro donato dalla ditta Arturo Mancini di Pesaro (sottoposto a trattamento Corten dopo l’esecuzione delle sculture), presso la locale carpenteria Storoni, la scultura ha un’altezza di 400 centimetri, per una larghezza di 330 e una profondità di soli due centimetri; sulla sua superficie si aprono 56 feritoie.
BIOGRAFIA: Pietro Consagra nacque a Mazara del Vallo (Trapani) nel 1920. Studiò all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Nel 1944 si trasferì a Roma, subito dopo la liberazione della capitale, dove conobbe Renato Guttuso, Mario Mafai e Giulio Turcato. Nel dicembre 1946 si recò a Parigi. Nell’occasione visitò importanti atelier, fra cui quelli di di Constantin Brâncuși e Alberto Giacometti. Tornato a Roma, nel 1947 fu tra i fondatori del gruppo astrattista Forma 1 (1947), i cui esponenti rivendicavano, nel Manifesto formalista da loro elaborato e firmato, il diritto di essere “formalisti e marxisti, convinti che i termini marxismo e formalismo non siano inconciliabili”. Gli altri membri del gruppo erano Mino Guerrini, Carla Accardi, Giulio Turcato, Achille Perilli, Piero Dorazio, Ugo Attardi e Antonio Sanfilippo. Ancora nel 1947 fu tra gli organizzatori della prima mostra d'arte astratta, all'Art Club di Roma, e tenne la sua prima personale alla Galleria Mola. Nel bollettino dell’Art Club di dicembre 1947 – gennaio 1948, Enrico Prampolini scrisse che “lo scultore Consagra nella grande composizione verticale è l’unico, tra i suoi colleghi, che abbia raggiunto un’autonomia d’espressione integralmente astratta”. Nel 1949 partecipò alla mostra di scultura contemporanea, curata da Giuseppe Marchiori, nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni a Venezia, con Hans Arp, Constantin Brâncuși e Anton Pevsner. In quegli anni Consagra si liberò progressivamente dalla tridimensionalità, in cui identificava aspetti autoritari, per abbracciare la dimensione frontale dell'arte, democratica e capace di porsi a tu per tu con l'osservatore: “Più della scultura per me era primaria l’uscita dal centro: l’ubicazione come significato. Introducendo l’ubicazione come elemento plastico, potevo osservare la scultura in modo che altrimenti non si sarebbe rivelata”. Fra gli anni 1950 e i primi 1960, con la serie dei “Colloqui” (affiancata da quelle dei “Giardini” e dei “Ferri trasparenti”), l'artista approfondì il suo progetto di una scultura capace di dare vita a relazioni dirette tanto con il singolo osservatore che con la società. Sono opere formate da sottili elementi perforati e sovrapposti, che sembrano dialogare fra di loro; nella loro unità propongono sempre una fruizione frontale, con le forme piatte e bidimensionali che attraggono l'attenzione sulla superficie, anche quando vi è una sovrapposizione di piani, e sui varchi, sui segni non simbolici che la costellano, suggerendo libere associazioni alla mente dello spettatore. Spettatore che diventa parte attiva, sintonizzandosi con la vitalità dell'opera nello spazio. Consagra partecipò più volte alla Biennale di Venezia e pubblicò testi e articoli critici, fra i quali i libri “Necessità della scultura” (Roma 1952) e “L’agguato” (Roma 1960). Nel 1962 l'artista partecipò con due opere in acciaio all'evento destinato a rinnovare l'interesse del pubblico, della critica e delle istituzioni verso la scultura. Era l’iniziativa “Sculture nella città”, organizzata da Giovanni Carandente nell'ambito del V Festival dei Due Mondi a Spoleto. Nel 1964 Consagra conobbe la scrittrice e critica d'arte femminista Carla Lonzi, che diventa la sua compagna, in un rapporto che durerà fino alla morte della donna, sopravvenuta nel 1982. “La città frontale” (Bari, 1969), è il pamphlet con cui Consagra presentò il suo progetto utopico per un urbanismo positivamente relazionato all'essere umano, in una società sempre più veloce e disattenta alle esigenze delle persone: “La città frontale è possibile, può nascere oggi e dovrebbe già essere impiantata: non è una città del futuro. Non vorremmo più stare dentro dei cubi, non vorremmo che ci proponessero di abitare dentro sfere e tubi”. Nel 1978 Pietro Consagra promosse la Carta di Matera, un documento per la salvaguardia dei centri storici e delle attività agricole tradizionali. Per quel progetto realizzò gli undici “Ferri bifrontali” di Matera, posizionati nei Sassi e in altri punti del centro storico. Il Comune di Matera gli conferì, in seguito al grande interesse suscitato dall'iniziativa e ai benefici prodotti sul territorio, la cittadinanza onoraria. Nel 1980 il maestro scrisse l’autobiografia Vita mia. Nel 1981, per la ricostruzione post sisma di Gibellina, nel Belice, realizzò la “Stella di ingresso al Belice”, alta 24 metri, in acciaio inox. Nel 1982 l’imprenditore e mecenate Antonio Presti gli commissionò la realizzazione della scultura “La materia poteva non esserci”, nella fiumara del Tusa; era la prima delle opere che costituiscono il parco di sculture Fiumara d’arte. Nel 1995 espose due grandi opere frontali in ferro fresato e trattato Corten a Pesaro, nel contesto del ciclo “Occasioni di scultura”. Consagra donò l’opera “Grande sottilissima n. 4” alla città. Nel 1997 il suo monumento “Giano nel cuore di Roma”, formato da quattro stele in marmo botticino fissate a un basamento, venne installato presso le antiche mura serviane, in largo di Santa Susanna. L’artista donò l’opera alla città. Nel 2001 Pietro Consagra ricevette dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte. L’artista ebbe anche un’importante attività di incisore. Morì a Milano, città in cui si era trasferito nel 1995, il 16 luglio 2005, all’età di 85 anni. È sepolto, come da sua volontà, nel cimitero di Gibellina.
BIBLIOGRAFIA:
- “Pietro Consagra - Necessità del colore” (catalogo, Verona), a cura di Luca Massimo Barbero - Gabriella Di Milia, Milano 2007 (con testi di Fabrizio D’Amico, Abraham Marie Hammacher, Paolo Marini, Giovanni Carandente, Francesco Tedeschi, Licisco Magagnato, Francesca Pola, Rosemary Ramsey, Lia Durante, Laura Lorenzoni)
- “Consagra che scrive: scritti teorici e polemici 1947/89”, Milano 1989
- Pietro Consagra, “Vita mia”, Milano 1980
- Umbro Apollonio, “Consagra”, Roma 1956
- Lionello Venturi, “Sculptures frontales de Consagra”, in “XX Siècle”, dic. 1959, n.13, pp. 58 s.
- “Legni di Consagra” (catalogo), Roma 1961
- Giulio Carlo Argan, “Pietro Consagra”, Neuchâutel 1962
- “Pietro Consagra” (catalogo), testo di Sam Hunter, Boston 1963
- “Consagra - Ferri trasparenti 1966” (catalogo), testo di Maurizio Calvesi, Roma 1966
- “Consagra” (catalogo), testo di Carla Lonzi, Milano 1967
- Pietro Consagra, “La città frontale, Bari, 1969
- “Mostra di Pietro Consagra” (catalogo), a cura di Giovanni Carandente, Palermo 1973
- Marisa Volpi Orlandini, “Consagra”, Milano 1977
- “Pietro Consagra: sculture 1976/77” (catalogo), a cura di Giovanni Carandente - Licisco Magagnato, Verona 1977
- Giuseppe Appella, “Pietro Consagra: opera grafica”, Milano 1977
- “Consagra a Matera” (catalogo), a cura di Giuseppe Appella, Milano 1978
- Giuseppe Appella, “Colloquio con Consagra. La magia della materia”, Roma 1981
- “Consagra. Mostra antologica” (catalogo, Rimini), a cura di Guido Ballo, Ravenna 1981
- “Pietro Consagra. La Città frontale e Interferenze 1968-1985” (catalogo), testi di Giovanni Carandente - Pietro Consagra, Roma 1985
- “Pietro Consagra” (catalogo), a cura di Anna Imponente - Rosella Siligato, Roma 1989
- Gabriella Di Milia, “Consagra: the drawings for the sculptures”, Milano-Londra 1995
- “Pietro Consagra. Diario frontale” (catalogo), Milano 1995
- “Pietro Consagra. Scultura e architettura” (catalogo), a cura di Giovanni Maria Accame - Gabriella Di Milia, Milano 1996
- “Pietro Consagra. La città frontale” (catalogo, Darmstadt), a cura di Klaus Wolbert, Milano 1997
- “Forma 1 e i suoi artisti 1947-1997” (catalogo, Praga-Roma), a cura di Giovanna Bonasegale - S. Lux, Roma 1998
- “Pietro Consagra. Opere 1947-2000” (catalogo, Il Cairo), testi di Giovanni Carandente - Gabriella Di Milia, Milano 2001
- Carla Lonzi, “Autoritratto. Accardi, Alviani, Castellani, Consagra, Fabro, Fontana, Kounellis, Nigro, Paolini, Pascali, Rotella, Scarpitta, Turcato, Twombly”, Bari 1969.
- Carla Lonzi, “Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra”, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1980
Per la bibliografia completa si rimanda al sito dell’Archivio Pietro Consagra: pietroconsagra.org
Fonte: Archivio Consagra di Milano.
Scheda a cura di
Roberto Malini, scrittore e saggista
Crediti fotografici: Fabio Patronelli
Giovanni Gentiletti, Nel Vento del Mito, 2006, rotonda via Cecchi

“Nel vento del mito”
Pesaro, rotatoria di via A. Cecchi
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Giovanni Gentiletti
Denominazione
“Nel vento del mito”
Datazione
2002-2006
Dimensioni
H. 510 cm x L. 123 cm x 25 cm
Luogo di collocazione
Pesaro, nella grande rotatoria al termine di via A. Cecchi
Materiale
Rame
Soggetto
Rielaborazione simbolica di due alte vele che si incrociano in un duello di bolina
STORIA: L’opera “Nel vento del mito” è visibile da via Cecchi, via Canale e Calata Caio Duilio e rientrava nel piano predisposto dal Comune per migliorare la viabilità e abbellire le aree delle rotatorie con opere d’Arte.
L’opera di Giovanni Gentiletti prende forma dal mito di Azzurra, l’unica barca italiana costruita a Pesaro per partecipare alla prestigiosa Coppa America nel 1983.
L’Italia per la prima volta affrontava l’impresa impossibile.
Il progetto della barca fu affidato allo studio Vallicelli di Roma, più complicato fu l’iter per la scelta del cantiere che avrebbe dovuto costruire una barca sofisticata e con tecnologie avanzatissime.
Fu scelto il fortunatissimo nome di Azzurra ed intorno a questo nome si riconobbero tutti gli italiani perché Azzurra rappresentava non solo una sfida sportiva ma anche lo sforzo di un Popolo, che con il lavoro e la fantasia aveva conquistato una posizione economica mondiale.
Concorreva anche il cantiere Yachts Officine PESARO ed era considerato il più tecnicamente evoluto nella costruzione di grandi yacht (oltre i 20 metri di lunghezza) anche se la concorrenza dei cantieri del Tirreno e della Liguria, rinomati e apprezzati, lasciava poche speranze.
Poi fu scelto il nostro cantiere, su parere favorevole dello lo skipper Cino Ricci perché già nel 1973 aveva fatto costruire una barca per una regata ed aveva conosciuto la qualità e la professionalità del cantiere pesarese.
Pensare che un Consorzio così prestigioso scegliesse un cantiere di Pesaro per partecipare ad una gara così esclusiva come la Coppa America era già per la nostra realtà motivo di profondo orgoglio e soddisfazione, al di là del risultato.
Allora Pesaro era all’avanguardia nella tecnologia della costruzione navale in Italia e per questo il Cantiere fu prescelto fra i pochi che offrivano la garanzia di lavorazione delle leghe leggere marine per consegnare a perfetta regola un progetto originale ed audace.
Azzurra doveva essere approntata in cinque mesi e così avvenne, in sintonia continua con l’Architetto Andrea Vallicelli.
Le caratteristiche della barca, dotata di tecnologie avanzatissime e costruita in alluminio, erano: lunghezza fuori tutto m. 19,40; larghezza m. 3,70; superficie velica m² 193,68; dislocamento kg 27000; altezza dell’albero m. 20.
Il varo di Azzurra, avvenne lunedì 19 Luglio 1982 nel bacino di espansione del Porto: la cronaca dell’epoca registrò la presenza di circa 15.000 persone stipate sui moli, sui tetti e sui balconi delle case.
L’Avvocato Giovanni Agnelli e il Principe Karim Aga Khan con la moglie Salima Begum, in rappresentanza del Consorzio Armatori dello Yacht Club Costa Smeralda, arrivarono a Pesaro in elicottero.
Era presente tutto il variegato mondo dei media, l’élite internazionale della nautica, il Ministro per il Turismo, Sport e Spettacolo Nicola Signorello, le Autorità, Italo Binucci, Marco Cobau e l’Avvocato Fioretti, proprietari del cantiere, Pietro Pasquini il capo delle maestranze con il fondatore del cantiere Torquato Gennari, Luca Cordero di Montezemolo, l’Onorevole Arnaldo Forlani, il Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini e soprattutto i pesaresi incuriositi, entusiasti ed increduli.
La signora Salima Begum tagliò il nastro, lo champagne bagnò la fiancata e poi lentamente Azzurra infilò la pesante chiglia in mare, poi le fiancate, e, al galleggiamento, si fermò.
Renato Nardelli in un suo testo pubblicato nel 2004 nel quale auspicava di riportare a Pesaro lo scafo di Azzurra, allora finita in un rimessaggio della Sardegna, ricordava il giorno del varo con l’urlo delle sirene ed il silenzio dell’immensa folla che immediatamente esplose in un lungo e frenetico applauso.
Pesaro divenne protagonista di un evento singolare conclusosi con una splendida serata al Salone Metaurense della Prefettura.
Era cominciata l’avventura italiana della vela.
Nell’occasione il Principe Agha Khan ebbe a dire: ”Affronteremo queste regate meravigliose ed affascinanti con l’umiltà degli ultimi arrivati, ma con la convinzione di essere degni di questo evento”.
Dopo un intenso periodo di allenamento che durò per tutto l’inverno-primavera 1983, l’Azzurra, unica barca italiana, si presentò a Newport con un equipaggio tutto italiano e prevalentemente composto da velisti adriatici al comando di Cino Ricci.
Fra i sette equipaggi che si presentarono per disputare la selezione, provenienti dai paesi di Francia, Inghilterra, Canada e Australia, Azzurra riuscì a piazzarsi al 3° posto dopo Australia II e Victory 83, fu un risultato eccezionale che pose d’autorità l’Italia nella scena internazionale della vela.
Questa grande impresa permise al cantiere pesarese di ricevere commesse da tutto il mondo e di costruire, prima della chiusura, ben 46 barche da diporto di notevole prestigio (una è rimasta a Pesaro, il Chica Boba II).
FUNZIONE DELL’OPERA: E’ certo che l’imbarcazione Azzurra contribuì nei pesaresi ad incrementare l’amore per il mare e la diffusione dello sport della vela, allora poco praticato.
Nel ricordo di tale avventura e per onorare questo evento, nel 2002, le Associazioni nautiche pesaresi Assonautica, A.N.M.I., Club Nautico, Circolo Velico Ardizio, Compagnia della Vela, Fratelli della Costa, Lega Navale, Panathlon Club, Società Canottieri) coordinate da Paolo Morsiani, proposero alla città di Pesaro una scultura in rame eseguita col cuore grande e la perizia di un suo artista, Giovanni Gentiletti.
L’Amministrazione Comunale, intuendo il significato espresso da Azzurra condivise l’idea delle Associazioni e diede piena disponibilità alla collocazione della scultura dal titolo “Nel vento del mito” nella grande rotatoria progettata al termine di via A. Cecchi sul porto ove Azzurra era stata costruita.
Dopo 4 anni di intenso lavoro l’opera venne inaugurata nel pomeriggio di sabato 28 Gennaio 2006 e presentata alla città nella sala Rossa del Comune. Il sindaco Luca Ceriscioli sottolineò che il nostro piccolo Porto era stato capace di fare cose grandi e che questa scultura ce lo avrebbe sempre ricordato.
Cino Ricci aggiunse che Azzurra e quindi la scultura che la ricorda, è il simbolo dell’operosità della cantieristica pesarese che ha prodotto numerose barche da diporto che hanno solcato i mari del mondo facendo la storia della vela.
Ancora oggi qualcuno è convinto che l’Italia abbia vinto la Coppa America, in realtà è stata una vittoria simbolica solo per la sua partecipazione alla regata e perché aveva sconfitto barche più blasonate.
DESCRIZIONE: La scultura in rame è una rielaborazione simbolica di due alte vele che si incrociano in un duello di bolina, quale emblema di un momento unico elettrizzante e magico di una gara, nello sfruttare le condizioni avverse che si frappongono alla boa al vento.
Il titolo dell’opera Nel vento del mito è stato suggerito allo scultore dai pensieri poetici dell’amico Franco Ampollini, versi che hanno ispirato e stimolato il suo lavoro tanto da decidere di imprimerli sulla lastra di rame con il suo tipico alfabeto, come se fosse un’iscrizione archeologica:
Un lampo d’Azzurra
nel mare di Newport
partito da un sogno
del porto canale…
Nel vento del mito
s’increspa il ricordo
che qui prende forma
e ritorna a strambare…
È l’unica scultura di Gentiletti in cui questi segni combinati in una scrittura non sono lasciati alla libera interpretazione ma hanno un significato autentico perché leggibile e compongono un testo scultoreo da interpretare in chiave metastorica.
Come scrisse il critico d’Arte Valeria Alberini, in una recensione per la Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, molti possono essere i significati sottintesi da quelle vele spiegate: parole di pace tra le due sponde dell’Adriatico, rimando al forte legame della città con il mare, ricordo degli antichi Piceni di Novilara, guerrieri e marinai.
Come non esisterebbe la Scultura senza il Mito perché esso richiama la Creatività, la capacità misteriosa di fare Arte, così non ci sarebbe stata questa opera senza l’impresa mitica di Azzurra e l’entusiasmo delle maestranze che per inseguire un sogno hanno costruito con estrema perizia la barca per la Coppa America.
Lo storico Nando Cecini in un suo testo pubblicato dal Resto del Carlino il 25 Giugno 2020 scrisse riferendosi alla scultura di Gentiletti: -Sulle acque di una fontana si alzano due vele quasi due mani giunte. Lui, uomo di terra, ha consacrato al mare la sua ultima opera, nella quale come per un testamento spirituale, ha voluto raccogliere tutte le sue esperienze di scultore.
Un’opera sofferta, non solo la memoria di una grande avventura marittima come la barca Azzurra, ma quelle vele come due mani giunte, mi sembrano anche una preghiera per tutti i marinai che sono scomparsi-.
Queste le parole dello scultore sulla sua opera: -Dopo quasi quattro anni di lavoro, con l’installazione della mia opera “Nel vento del mito” si conclude finalmente per me questa bellissima e straordinaria avventura.
Ho cercato di interpretare la competizione di due barche a vela, ed evidenziare lo spirito dell’America’s Cup, gara mondiale nota nel mondo, dove l’imbarcazione Azzurra skipper Cino Ricci, timoniere Mauro Pelaschier a Newport nel 1983, ha segnato una tappa ed un evento gloriosi.
La realizzazione di questa scultura promossa e donata dalle Associazioni nautiche al Comune di Pesaro, mi ha segnato dentro, e subito, fin dall’inizio, ha avuto il significato per me di una orgogliosa personale sfida. Mi piace pensare che queste mie “Vele” possano diventare punto di riferimento e segno concreto benaugurante per la mia città.
COMPOSIZIONE: L’opera “Nel vento del mito” è posizionata al centro di una vasca circolare piena d’acqua.
Le due vele in rame sono alte 510 cm, larghe 123 cm con uno spessore di circa 25 cm e ciascuna è infilata in una coppia di tubolari in acciaio per renderle stabili.
Dalla cima partono una serie di tiranti in acciaio fissati sul fondo vasca.
BIOGRAFIA: Giovanni Gentiletti è nato a Candelara, in provincia di Pesaro-Urbino, nel 1947. Ha compiuto gli studi artistici, diplomandosi all’Istituto Statale d’Arte F. Mengaroni di Pesaro, ha insegnato sbalzo e cesello nella sezione Arte dei Metalli e dell’Oreficeria dapprima ad Ancona e poi a Pesaro.
Dal 1990 al 2008 ha fatto parte del gruppo docente ai corsi del Centro TAM (Trattamento Artistico dei Metalli) di Pietrarubbia, ideato e diretto per alcuni anni da Arnaldo Pomodoro.
Ha esposto le sue opere in numerose mostre in varie località d’Italia, riscuotendo vasto successo di critica sia in patria sia all’estero.
Ha vinto numerosi premi di scultura e di arte orafa e molte sue realizzazioni sono state acquistate da prestigiose istituzioni pubbliche.
Nel gennaio 2006 ha installato nella rotatoria di via A. Cecchi, al porto di Pesaro, su incarico delle Associazioni nautiche cittadine e del Comune, l’opera “Nel vento del mito” di cinque metri di altezza: rappresenta due grandi “vele” in rame per ricordare Azzurra, la prima ed unica barca italiana a competere nell’America’s Cup a Newport nel 1983 e costruita nel Cantiere Yacht Officine di Pesaro.
Nel 2008 ha arredato la camera 122, “Racconti dal Mediterraneo”, per l’Alexander Museum Palace Hotel con un altarolo-forziere e una porta in rame e ferro, in comunione d’intenti con altri maestri, a ognuno dei quali era stato affidato il compito di realizzare una “camera d’autore”.
Nel gennaio 2010 la Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro ha acquistato, per la sua prestigiosa collezione d’Arte, l’“Altarolo-forziere dell’antico alfabeto” e per l’occasione ha esposto altre sculture dell’artista.
Giovanni Gentiletti è deceduto l’8 maggio dello stesso anno lasciando un grande vuoto nel mondo dell’Arte contemporanea.
Nel marzo 2012 la famiglia dello scultore ha donato alla Cattedrale di Pesaro il “Trittico-teca dei Santi Decenzio e Germano”, l’ultimo forziere appositamente realizzato dal maestro per contenere ciò che rimane delle spoglie dei due martiri pesaresi.
Dal 19 Luglio 2020, lo stesso giorno dello storico varo di Azzurra, felice coincidenza, l’officina-studio dello scultore a Santa Maria dell’Arzilla, ora casa-Museo Giovanni Gentiletti, è entrata a far parte del circuito di Pesaro Musei ed è aperta ai visitatori ogni terza domenica del mese.
BIBLIOGRAFIA su Giovanni Gentiletti:
(Sono evidenziate in grigio le pubblicazioni sull’opera “Nel vento del mito” in cui compaiono gli scritti di Italo Binucci (tra i proprietari del cantiere) Renato Nardelli (Presidente Azienda di Soggiorno e APT di Pesaro) e Paolo Morsiani (Presidente Assonautica Provinciale))
Amatiello P., Dizionario enciclopedico degli artisti italiani degli anni 60-70, Editrice Zephyr, Roma, 1974
A cura di Ambrosini Massari A. M., Le collezioni d’arte di Palazzo Antaldi, Il lavoro editoriale, Giugno, 2013
Del Gobbo L., Cercare nella forma, Litotipo Sangiuseppe-Pollenza, Macerata, 1990
Dolcini L., Q n°1 – foto d’artisti ¶ appunti di visita, Grapho 5, Fano, 1997
Falciasecca Gabriele, Il porto di Pesaro e la Camera di commercio di Pesaro e Urbino: Storia ed attualità di un impegno per l’economia locale, Arti Grafiche Pesaresi srl, Pesaro, 2012
A cura di Ginesi A., Le Marche e il XX secolo- Atlante degli artisti, Arti Grafiche Motta, Milano, 2006
Grillo Biagio, Arte Verona ’83, Stimmgraf editrice, Verona, 1983
Lisotti Gilberto, Pietre e metalli nelle Marche, Edizioni Bolis, Bergamo, 1996
Milesi Francesco, L’oro delle marche 1986, Società tipografica Fano, 1986
Milesi Francesco, L’oro delle marche 1987, Ed. Fortuna Offset, Fano, 1987
Premio Marche 1989- Biennale d’Arte Contemporanea, Ed. Brillarelli, Castelfidardo, 1989
Premio Marche 1996- Biennale d’Arte Contemporanea, Edizioni Mazzotta, Milano, 1996
Presutti Fausto, Arte visiva e pensiero creativo, RCS, Sant’Angelo in Vado, 1996
Puviani Flavio, Dizionario dei pittori scultori e incisori, Casa editrice Alba, Ferrara, 1975
RIVISTE:
Ancona provincia, Ed. U.T.J. snc, Mensile n°11, Jesi, Novembre 1988
Arredorama- IL MOBILE ITALIANO NEL MONDO, Litorama, Mensile n°79, Milano, Ottobre 1979
“Arte Insieme” Incontro ΄89, L’arte grafica, Gubbio, 1989
Candelara in festa-Arti e Mestieri al Castello, Ed. Associazione culturale Candelara, Pesaro, Luglio 2010
Commercio mobili, Edizioni Palutan, Mensile n°5, Milano, Maggio 1976
Corso di Scultura Gioiello e Design, Uccellini Ed. Multimedia S.R.L.,Pietrarubbia-Centro TAM, 2011
Giovanni Gentiletti al Castello di Pietrarubbia, CATALOGO MONOGRAFICO, Grapho5, Fano, 2008
Giovanni Gentiletti a Palazzo Gradari di Pesaro, CATALOGO MONOGRAFICO, Grapho5, Fano, 2012
Il marchigiano, Ed. ICIM & PBS, Settimanale Anno ll N.13, Mondolfo, Gennaio 1973
Il marchigiano, Ed. ICIM & PBS, Settimanale Anno ll N.24, Mondolfo, Aprile 1973
Il marchigiano, Ed. ICIM & PBS, Settimanale Anno ll N.41, Mondolfo, Agosto 1973
Il marchigiano, Editrice Marchigiana, Settimanale Anno lV N.141, Mondolfo, Luglio 1975
Le Cento Città, Errebi Grafiche Ripesi di Falconara M.ma, Quadrimestrale ll n°13, Ancona, 1999
Le Cento Città, Errebi Grafiche Ripesi di Falconara M.ma, Quadrimestrale lll n°29, Ancona, 2006
L’industria orafa italiana, Ed. Bini, Mensile n°11, Milano, Novembre 1986
L’industria orafa italiana, Ed. Bini, Mensile n°11, Milano, Novembre 1989
Mostra di Pittura e Scultura, Ind. Lito-tipografiche Ponzio S.p.A., Pavia-Castello Visconteo, 1971
Notizie dall’Auditorium Montani Antaldi, Sat, Pesaro, Maggio 2010
Ottagono DESIGN & DESIGNERS, Trimestrale n°129, Dicembre 1998- Febbraio 1999
Personaggi del porto in cerca di autore, Stampa grafica vadese, Pesaro, 2004
Pesaro OPEN, Apsa Edizioni srl, Mensile Anno IV N.4, Pesaro, Aprile 1992
Pesaro Urbino, Editrice Fortuna srl, Semestrale Anno VI N.2, Fano, Agosto 1987
Pesaro Urbino, Editrice Fortuna srl, Semestrale Anno VII N.3, Fano, Agosto 1988
Pesaro Urbino, Editrice Fortuna srl, Semestrale Anno IX N.2, Fano, Dicembre 1990
Porto & mare, Notiziario delle Associazioni Nautiche della Provincia di Pesaro, N.0, Aprile 2005
Promemoria n°6- storie e figure dalla Memoteca Pian del Bruscolo, Ideostampa, Pesaro, 2014
Documenti, testi e audio di proprietà della famiglia di Giovanni Gentiletti
Marcello Guasti, All’interno dell’Ovale, 1976, Viale Trieste

“All’interno dell’ovale”
Pesaro, Viale Trieste
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Marcello Guasti
Denominazione
“All’interno dell’ovale”
Datazione
1976
Dimensioni
H. 300 cm x L. 210 cm x 100cm
Luogo di collocazione
Pesaro, Viale Trieste di proprietà della Pubblica Amministrazione
Materiale
Pietra di Trani e cemento
Soggetto
Rielaborazione geometrico-simbolica dello spazio e degli elementi storico - naturali che lo definiscono
STORIA: L’opera “All’interno dell’ovale”, dello scultore Marcello Guasti, è espressione di un più
ampio percorso che ha origine dall’idea, affermatasi alla fine degli anni sessanta, di tornare a
vivere la città come luogo di un nuovo e possibile dialogo fra arte e spazio pubblico. Un’idea che a
Pesaro, rispettivamente nel 1971, ’72 e ‘73, ha condotto alla realizzazione di tre importanti eventi
che, attraverso l’esposizione delle opere di M. Ceroli, A. Pomodoro e E. Colla, videro il
coinvolgimento dello spazio urbano come spazio espositivo in cui realizzare dialoghi forti,
inconsueti e suggestivi tra “segni” appartenenti a tempi lontani e comunicanti esperienze culturali
ed esistenziali tra loro diverse. A questi eventi seguirono a livello nazionale la pubblicazione del
libro “Urgenza nella città” di Francesco Somaini ed Enrico Crispolti e subito dopo l’iniziativa per lo
spazio urbano, “Volterra 73”. A livello locale il rafforzarsi del rapporto tra Amministrazione
Pubblica e operatori artistici condusse, nel 1975, alla definizione dell’iniziativa “la città come
spazio operativo” che proponeva la realizzazione di opere plastiche nel e per lo spazio urbano, le
opere, infatti, dovevano essere progettate per la zona mare della città ed in essa installate in
modo definitivo. L’operazione nel suo complesso coinvolse, fin dall’inizio, il Comune, gli scultori, i
cittadini e gli sponsor e nelle Circoscrizioni vennero realizzati incontri e dibattiti. All’iniziativa
vennero chiamati i seguenti artisti: Giò Pomodoro, Marcello Guasti, Loreno Sguanci, Mauro
Staccioli. Gli artisti invitati, provenienti da altre città, furono ospitati a Pesaro e svolsero il lavoro di
progettazione degli interventi plastici tenendo conto dello spazio in cui dovevano essere inseriti e
della rete relazionale che doveva essere generata tra queste nuove presenze, la collettività e la
natura fisica ed evocativa del luogo preso in esame. L’attività artistica degli scultori fu resa fruibile
in ogni sua fase e la cittadinanza ebbe la possibilità di seguire i diversi momenti di ideazione e
progettazione di tutte le opere. Si ebbe così la possibilità di seguire il progetto di Mauro Staccioli,
relativo ad un grande trave in cemento armato con una testa metallica puntata verso il mare che
doveva essere installato a Baia Flaminia, di prendere visione delle singole fasi del progetto di Giò
Pomodoro, comprendente la realizzazione di una piazzetta attraverso parti modulari una delle
quali doveva contenere una scultura in marmo, nonché di assistere passo dopo passo alla
realizzazione e alla collocazione in Viale Trieste dei segni monumentali di Loreno Sguanci ( “Porta a
Mare”) e di Marcello Guasti (“All’interno dell’ovale”).
FUNZIONE DELL’OPERA: L’opera, “All’interno dell’ovale”, progettata e realizzata per l’iniziativa del
1975 “La città come spazio operativo”, si presenta come un elemento plastico che attraverso il
nitore delle sue forme geometriche e il moto lineare della diagonale che l’attraversa, si pone
all’interno dello spazio che l’accoglie quale elemento dialogante e segno comunicativo di un
pensiero collettivo condiviso e partecipato legato al presente.
DESCRIZIONE: L’opera, situata in Viale Trieste (lato di ponente) è progettata per rimanere in
equilibrio su una pedana leggermente rialzata da terra, un equilibrio alterato dalla diagonale che,
partendo in modo saldo ma decentrato dalla trave orizzontale che la sostiene, taglia internamente
l’ovale conferendo all’insieme un effetto dinamico lievemente oscillante. Nella struttura
compositiva Il rigore delle forme geometriche trova il suo corrispettivo nel nitore delle
modulazioni cromatiche e ciò genera un ritmo quieto e cadenzato che si rafforza là dove il bianco
delle parti realizzate in pietra di Trani si incastrano nel grigio del cemento della forma ovale che le
contiene. In tal modo la composizione formale si muove suggerendo con la sua articolazione
razionale l’idea di un dinamismo naturale ininterrotto, mentre lo scatto cromatico provocato dalla
pietra e dal cemento cattura l’attenzione dello spettatore spostandola verso il centro dell’opera incui è aperto un varco nella materia attraverso il quale è possibile intravvedere l’orizzonte del
mare.
COMPOSIZIONE: La parte esterna che definisce l’ovale, determinando la base più ampia
lievemente basculante e i due semiarchi superiori, è realizzata in cemento grigio non levigato ed è
dall’asperità della superficie che la luce viene catturata, attutita e rimodulata attraverso un lieve,
mobile e morbido gioco chiaroscurato. Le due travi, una orizzontale e una diagonale che tagliano
l’opera, sono realizzate in pietra bianca di Trani e si incastrano l’una all’altra in modo decentrato
rispetto alla composizione plastica suggerendo, con il loro duplice movimento lineare aperto verso
direzioni spaziali opposte, molteplici e diverse possibilità esplorative dello spazio.
BIOGRAFIA: Marcello Guasti (Firenze 1924 - Bagno a Ripoli 2019) frequenta l’Istituto d’Arte di
Porta Romana diplomandosi al Magistero di arti grafiche sotto la guida dei professori Pietro Parigi
e Francesco Chiappelli ed è presso l’Istituto d’Arte che inizia ad insegnare sviluppando
contemporaneamente la sua ricerca artistica. Ai tempi della sua frequenza all’Istituto ebbe modo
di conoscere altri giovani promettenti che come lui studiavano presso la stessa scuola, ricordiamo,
Loreno Sguanci, Giuliano Vangi, Liberto Perugi, Fernando Farulli e con alcuni di questi, come
Loreno Sguanci, ha stretto un rapporto di stima e di amicizia che è durato tutta la vita. Importante
fu poi, per la sua formazione artistica, l’incontro avvenuto nel 1940 con Ottone Rosai che gli
permise di entrare nell’ambiente delle “Giubbe Rosse” in cui ebbe modo di conoscere Eugenio
Montale, Mario Luzi e tante altre personalità tra cui Tommaso Landolfi che illustrò per lui la
copertina del libro “la raganella d’oro”. Dopo un esordio che lo vide cimentarsi nella xilografia e
nella pittura, Marcello Guasti nel 1956 affronta le tematiche della scultura con la realizzazione
delle prime versioni dei “gatti” in bronzo e nel 1957-59 con la realizzazione di un gruppo di statue
in legno e bronzo sul tema del lavoro dei “Renaiolo”. Durante gli anni sessanta Guasti abbandona il
figurativo per affrontare la ricerca del cosiddetto Espressionismo informale e giungere poi, alla
fine degli anni 60, ad un linguaggio astratto e geometrico utilizzando materiali nuovi come il
cromo, l’acciaio inox e le vernici a fuoco sui metalli. A partire dal 1952 lo scultore partecipa a
numerose mostre personali e collettive tra cui vogliamo ricordare la Biennale di Venezia del 1948 e
la XXVIII Biennale del 1962. All’interno di questa ricca attività di ricerca alimentata sempre da un
rinnovato approfondimento delle possibilità artistico-espressive, Marcello Guasti ha anche più
volte affrontato il tema legato alla committenza pubblica, il primo monumento è per il Comune di
Pescia (1962), ricordiamo poi, tra i molti interventi eseguiti il monumento “Ai tre carabinieri uccisi”
(1964) realizzato per il Comune di Fiesole e collocato sul Belvedere progettato da Giovanni
Michelucci, architetto che resterà legato per stima e amicizia a M. Guasti, la partecipazione al
simposio nel Parco di Horice nel territorio di Praga (1967) e la realizzazione di opere monumentali
come quelle per Soest Westfalia in Germania e Pesaro (1970 e 1976)
BIBLIOGRAFIA:
Catalogo Bolaffi D’Arte moderna 1964, Ed. Bolaffi – Torino. Cronovideografie – Pesaro tra
provincia e mondo 1945 – 1980 Ed. Franco Cosimo Panini.
Marcello Guasti riesame delle
premesse oggettive 1942 – 1959 grafica – pittura – scultura Galleria La Piramide.
Marcello
Guasti Storia dell’arte italiana del 900 Ed. Bora – Bologna.
Marcello Guasti tra natura e geometria
autore Giorgio Di Genova Ed. Bora – Bologna.
Scheda a cura di Arch. Valentina Radi
Eliseo Mattiacci, Riflesso dell’Ordine Cosmico, 1995, Molo di Ponente

“Riflesso dell’ordine cosmico”
Pesaro, Molo di Levante del vecchio porto
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Eliseo Mattiacci
Datazione
1996
Dimensioni
struttura di base 6x2 x 0,45 m – lama 8,55x2,05 x 0,05 m
Luogo di collocazione
Pesaro, Molo di Levante del vecchio porto
Materiale
ferro e acciaio
Soggetto
Scultura di grandi dimensioni posta affianco la quale si trova una targa con scritto “Si consiglia di vederla al sorgere del sole (Eliseo Mattiacci)”.
STORIA: Scultura realizzata da Eliseo Mattiacci nel 1996, la sua collocazione avvenne lo stesso anno della personale dell'artista Eliseo Mattiacci. Opere recenti 1985-1996 a cura di Bruno Corà (27 luglio-20 ottobre 1996) che inaugurò il ciclo di attività del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro.
DESCRIZIONE E COMPOSIZIONE:
“C'è del nuovo sul molo di Pesaro: un'elevata e scura lama ferrigna, giorno e notte presente come una sicura sentinella che scruta il vasto mare. Ad essa giungono fiduciosi e con curiosità gli abitanti della città, taluni pescatori e lo sguardo di quanti navigano sotto costa in quel tratto dell'Adriatico. Diventa così sempre più evidente, col passare del tempo, e con la creazione di nuove e più audaci fogge, che il faber artis più grande d'Italia, Eliseo Mattiacci, pensa e forma, a misura dell'immaginario popolare e a dimensione planetaria. Ne dà prova questo Riflesso dell'ordine cosmico (1995-1996), stele di acciaio e ferro che egli ha consegnato alla città e ai luoghi ove pur vive, in segno di vicinanza alla sua terra. E non si tratta, come potrebbe sembrare a prima vista, della concezione di un dolmen metallico a scala monumentale, quanto piuttosto dell'esito ultimo di un'attitudine formativa che sintonizza le proprie potenzialità sulle lunghezze d'onda di tensioni e forze che, poste in gioco tra loro dall’astanza stessa della scultura, che diviene elemento catalizzatore, appaiono regolare l'universale, instabile equilibrio a cui anche noi prendiamo parte. Ci voleva il fegato di un gigante come Mattiacci per confrontarsi con l'inquietudine e con la forza delle incessanti maree, con i venti e le piogge battenti che sul mare si distinguono e si confondono coi flutti che si rinfrangono fin lassù, alla base della scultura, sopra il molo, nei giorni di tempesta! E serviva che qualcuno, fortemente attratto da questa immensità di mare e cielo, opponesse un elemento qualificato, altrettanto maiuscolo per la mano e il passo, dotato di un'altra forza e di un'altra bellezza, per entrare in dialettica con quelle dimensioni sublimi e ardue. Una misura d’opera concepita con passione e sogno, rischio e desiderio, grave e lieve allo stesso tempo, poderosa e poetica, un corpo congiuntivo tra natura e cultura: che in questo luogo si stringono indissolubilmente, attraverso la vita della gente di mare e quanti, passanti e viaggiatori, sospendono lo sguardo dal segmento del molo alla linea curva e accerchiante dell'orizzonte.[…]
Il rapporto cercato con la vastità e incommensurabilità degli elementi naturali, il vento, il cielo, il vuoto, l'orizzonte, la verticalità, il mare, con le leggi della materia e le potenze elettromagnetiche, i minerali e i metalli, la gravità delle masse e dei corpi da smaterializzare, il valore di sostantività, come la continuità morfologica, l'essenza ferrigna, ne fanno la più autentica personificazione delle entità vulcanica. Mattiacci ha sentito molto spesso il bisogno di confronto tra la sua opera e una referenza spaziale orizzontale e di vaste latitudini come il mare. Questa nuova stele Riflesso dell'ordine cosmico […] si erge sugli aspri massi frangiflutto del molo, sporgendosi svettante sul mare e nel cielo come un obelisco del XXI secolo. […]
L’eteo geroglifico, che questa scultura reca, ha l'essenzialità dei grandi messaggi epocali, degli emblemata che coniugano un'era e la sua sensibilità, le sue ambizioni, i suoi sogni e le sue consapevolezze col passato ardimentoso dell'umanità e ancor di più con il suo avventuroso futuro. Attraverso quest'opera Mattiacci induce in ogni coscienza contemporanea il senso di un'appartenenza antropologica progettuale e il sentimento dell'immaginario creatore che si spinge e raggiunge, di fatto con le opere, una sovratemporalità che lo scavalca e lo trascende. Le orbite disegnate segmentalmente entro la pagina ferrigna per sottrazione di materia, ricavando vuoto significante ed emblematico, si intrecciano tra loro alternando cerchi ed ellissi, mentre la crescita di una spirale sottostante le orbite, ugualmente intagliata nella massa della stele, osserva un andamento che sviluppa le sue volute in una circolarità e verso una verticalità augurale supposta infinita. Ma l’essenza morfologica che definisce queste tonnellate di metallo innalzate tra l'azzurro dell'Adriatico e il cielo è tutta nella doppia conclusione, alla base e in vetta alla grande lama, dei suoi profili labiali. In quell’asianico stondamento, la cui levità suggerisce un esito commisurato da mani capaci di dosare la forma di un pane come pure di un utensile, si manifesta una nozione di cesura che ha la prodigiosa qualità di partecipare simultaneamente allo stato del chiuso e dell’aperto. Appunto, labbra che il fuoco ha forgiato e rilasciato secondo un’intenzione dettata dall'immaginario che partecipa alla reverie dell'aria e dell'acqua, della terra e del fuoco.[…]
Questo vigile totem laminare è di fatto il nuovo faro di Pesaro, una postazione che terranno d'occhio non soltanto i naviganti, ma anche i meditanti che in prossimità della costa ne cercheranno la sagoma “nell'ora che volge il disìo”. Un faro per i nottambuli, per i sognatori, per i bambini, per le petroliere lunghe e lente che al loro transito suscitano confronti tra la loro latitudine e la verticalità della scultura. All'alba il sole sorge entro l'occhio della spirale ed è già catapultato dalle sue volute, come una rampa di lancio, nell'alto della volta celeste, nel giorno pieno. Diversamente da alcuni relitti urbani, questa scultura non è uno spartitraffico, ma un enigma noumenico attivo in relazione alle nozioni che il nostro immaginario è capace di esprimere.”
Bruno Corà, Eliseo Mattiacci: “Nuovo avviso ai naviganti”, in Mattiacci. Ordine cosmico, Skira, 1998, pp. 9-11
BIOGRAFIA:
Eliseo Mattiacci (Cagli, 1940-Fossombrone, 2019)
Trasferitosi a Roma nel ’64, è stato partecipe del rinnovamento dell’arte contemporanea italiana della seconda metà degli anni Sessanta. Nel 1967 Mattiacci esordisce con la prima mostra personale alla galleria La Tartaruga, presentando un tubo flessibile di 150 metri in ferro nichelato verniciato giallo “Agip” che modifica lo spazio e invita il pubblico a modificarlo. In quegli anni forte era la necessità di spazi non convenzionali per l’arte contemporanea, che permettessero maggiore libertà di azione. La galleria romana L'Attico-garage di Fabio Sargentini segna un punto di svolta: Mattiacci nell’azione del ‘69 ci entra dentro con un compressore che schiaccia un percorso di terra pozzolana. In occasione della Biennale di Parigi del ’67, Pino Pascali presenta a Mattiacci il gallerista e mercante d’arte Alexandre Jolas; nasce così la possibilità di esporre il proprio lavoro al di fuori dei confini nazionali, a Parigi e New York. Nel 1972 la Biennale Internazionale d’Arte di Venezia dedica una sala al lavoro dell’artista. Negli anni Ottanta la ricerca di Mattiacci si concentra sull’uso dei metalli – da lui definiti materiali «vivi» - per opere di grandi dimensioni di ispirazione cosmico-astronomica: sono di questi anni i lavori “Alta tensione astronomica” del 1984, installata al Kunstforum di Monaco, ed il “Carro solare del Montefeltro”. Quest’ultimo, assieme ad altre opere, è allestito nella sua sala personale alla Biennale di Venezia nel 1988. L’artista cerca costantemente un dialogo con lo spazio - sia esso un paesaggio naturale (come una cava), che un ambiente progettato dall'uomo (come un sito archeologico) - e per questo molti lavori nascono site-specific. Il lavoro di Mattiacci si concentra inoltre su energie fisiche visibili e invisibili - come la forza di gravità o l’attrazione magnetica di grandi calamite - alimentato da una costante tensione ideale a togliere peso alla materia pesante in sé. Una mostra fortemente legata a questa ricerca è quella allestita all’interno dei Mercati di Traiano a Roma nel 2001. Tra i premi ricevuti, il primo premio alla Biennale Fujisankei Hokone Open Air Museum, a Tokyo nel 1995, ed il premio per la scultura Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei, a Roma nel 2008. Nel 2016 il MART Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto dedica una mostra retrospettiva all'artista e nel 2018 un’importante mostra antologica viene allestita presso il Forte di Belvedere a Firenze.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DELL’OPERA:
-Mattiacci. Ordine cosmico, a cura di Bruno Corà, fotografie di Aurelio Amendola e Gianfranco Gorgoni, Skira, 1998
-Celant, Mattiacci, Skira, 2013, n. 386 p. 329
Fonte: Studio Eliseo Mattiacci
Foto di Aurelio Amendola e Gianfranco Gorgoni
scheda a cura di Studio Eliseo Mattiacci
Eliseo Mattiacci, L’Occhio del Cielo n 2, 2005, Cortile dei Musei Civici

“L’occhio del cielo”
Pesaro, Musei Civici, Palazzo Mosca
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio aperto
Autore
Eliseo Mattiacci
Datazione
1996
Dimensioni
diametro 3 m, profondità 0,43 m, spessore 0,02 m (lastra)
Luogo di collocazione
Pesaro, Musei Civici, Palazzo Mosca
Materiale
Acciaio corten
Soggetto
Grande scultura a spirale
STORIA :Scultura creata da Mattiacci nel 1996, ne esiste una versione uguale permanentemente installata alla UCLA, University of California, Los Angeles.
DESCRIZIONE E COMPOSIZIONE:
“Occhio del cielo 1996, non è solo l’alternato ritmo di tangenza e laminari circolari. Ma sembra anche essere visualizzazione della tensione amplificatrice della visione o dello stesso ascolto Rivolto alle onde acustiche l'intaglio dei tracciati di orbite Acer Chianti ed ellittiche segna e sgrava i grandi dischi dell'ordine 1965 in acciaio cor-ten con la base è sferica in ghisa e dell'ordine 1965 con la base alla di acciaio circolare suggerisce quanto il riflesso dell'ordine cosmico mi dà 994 le tracce di circuiti siderali che se sfuggano gli occhi non eludono il pensiero creatore che ti avverte li restituisce alla sua è nostra inquieta sete di spazio.” Bruno Corà, Mattiacci: scultura, pesca miracolosa, in Mattiacci 1985-1996, Charta Edizioni, Milano, 1996, p. 30
“Cosmico, potente, massiccio, visionario e allo stesso tempo misterioso, lirico e profondamente introspettivo. Sono questi gli aggettivi che vengono immediatamente in mente quando si tenta di descrivere l'opera di Eliseo Mattiacci. Il tuo Occhio del cielo non è un'eccezione. Tre grandi bande circolari di acciaio che si circoscrivono l'un l'altra sono posizionati in modo che il cerchio più piccolo condivida il proprio centro con quello del più grande. Il tutto evoca una struttura a spirale che si ripete curiosamente negli estremi dimensionali e nei limiti opposti dell'universo naturale. In questo senso la scultura funge da sentiero simbolico fra l'infinito e l’infinitesimale, riflettendo non solo i movimenti dei corpi celesti, ma anche la configurazione delle particelle molecolari. Se esiste un paradiso - un paradiso dell'intelletto e per l'intelletto - si potrebbe allora affermare che lo si può intravedere qui sulla terra guardando attraverso “l'occhio” di Mattiacci e rispondere allo stesso tempo alla domanda che ha tormentato i fisici per generazioni: perché forme e strutture simili si ripetono sia nei mondi cosmici che in quelli subatomici” Francis M. Naumann, Eliseo Mattiacci, Occhio del cielo, New York, February 27, 2005 in Mattiacci. Occhio del cielo, Danilo Montanari Editore, 2005
BIOGRAFIA:
Eliseo Mattiacci (Cagli, 1940-Fossombrone, 2019)
Trasferitosi a Roma nel ’64, è stato partecipe del rinnovamento dell’arte contemporanea italiana della seconda metà degli anni Sessanta. Nel 1967 Mattiacci esordisce con la prima mostra personale alla galleria La Tartaruga, presentando un tubo flessibile di 150 metri in ferro nichelato verniciato giallo “Agip” che modifica lo spazio e invita il pubblico a modificarlo. In quegli anni forte era la necessità di spazi non convenzionali per l’arte contemporanea, che permettessero maggiore libertà di azione. La galleria romana L'Attico-garage di Fabio Sargentini segna un punto di svolta: Mattiacci nell’azione del ‘69 ci entra dentro con un compressore che schiaccia un percorso di terra pozzolana. In occasione della Biennale di Parigi del ’67, Pino Pascali presenta a Mattiacci il gallerista e mercante d’arte Alexandre Jolas; nasce così la possibilità di esporre il proprio lavoro al di fuori dei confini nazionali, a Parigi e New York. Nel 1972 la Biennale Internazionale d’Arte di Venezia dedica una sala al lavoro dell’artista. Negli anni Ottanta la ricerca di Mattiacci si concentra sull’uso dei metalli – da lui definiti materiali «vivi» - per opere di grandi dimensioni di ispirazione cosmico-astronomica: sono di questi anni i lavori “Alta tensione astronomica” del 1984, installata al Kunstforum di Monaco, ed il “Carro solare del Montefeltro”. Quest’ultimo, assieme ad altre opere, è allestito nella sua sala personale alla Biennale di Venezia nel 1988. L’artista cerca costantemente un dialogo con lo spazio - sia esso un paesaggio naturale (come una cava), che un ambiente progettato dall'uomo (come un sito archeologico) - e per questo molti lavori nascono site-specific. Il lavoro di Mattiacci si concentra inoltre su energie fisiche visibili e invisibili - come la forza di gravità o l’attrazione magnetica di grandi calamite - alimentato da una costante tensione ideale a togliere peso alla materia pesante in sé. Una mostra fortemente legata a questa ricerca è quella allestita all’interno dei Mercati di Traiano a Roma nel 2001. Tra i premi ricevuti, il primo premio alla Biennale Fujisankei Hokone Open Air Museum, a Tokyo nel 1995, ed il premio per la scultura Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei, a Roma nel 2008. Nel 2016 il MART Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto dedica una mostra retrospettiva all'artista e nel 2018 un’importante mostra antologica viene allestita presso il Forte di Belvedere a Firenze.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DELL’OPERA:
-Mattiacci 1985-1996, Charta Edizioni, Milano, 1996
-Mattiacci. Occhio del cielo, Danilo Montanari Editore, 2005
-Celant, Mattiacci, Skira, 2013, n. 379, p.322
Fonte: Studio Eliseo Mattiacci
Foto di Michele Alberto Sereni
scheda a cura di Studio Eliseo Mattiacci
Agapito Miniucchi, Arim, 1982, giardini Nilde Iotti di via Cristoforo Colombo

“Arim”
Pesaro, via Cristoforo Colombo, Giardini Nilde Iotti
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Agapito Miniucchi
Denominazione
“Arim”
Datazione
1983
Dimensioni
H cm 148; L cm 168; P cm 198
Luogo di collocazione
Pesaro, Giardini Nilde Iotti di via Cristoforo Colombo
Materiale
Pietra e acciaio corten
Soggetto
Metafora del percorso dell’umanità verso la scoperta e la conoscenza attraverso il suo millenario rapporto con la terra e il mare
STORIA: Il rapporto fra l’uomo e il mare è sempre stato in primo piano, nel pensiero creativo di Agapito Miniucchi. Il mare che divide e unisce le terre, che ha nutrito e accompagnato lo sviluppo di civiltà millenarie, che ha dato origine a commerci fra popoli lontani e anche, purtroppo, a guerre terribili fra gli stessi. “Le mie mani ascoltano il cuore segreto del mare,” scrisse l’artista, “che fa nascere e morire l’onda in un gioco maledetto”. Nato a Rocca Sinibalda, piccolo comune della Sabina orientale incastonato fra boschi, colline e montagne, nel 1933, quando aveva dieci anni, Agapito si trasferì con i genitori a Pesaro, al numero 45 di viale Zara, presso la splendida Villa Olga, verso il moletto, a pochi passi dal mare. Le innumerevoli sfumature di verde e turchese dell’Adriatico, le foschie sollevate dalla bora, le nuvole sospinte dallo scirocco e dal levante, le splendide luci della marina rese più nitide dal maestrale, le increspature create dall’ostro e l’effetto del libeccio che mescola la sabbia alle onde: tutto questo era per lui fonte di ispirazione. “Le suggestioni di quel tratto di mare,” scrisse nel 2012, “hanno inciso profondamente nella mia formazione giovanile tanto che volevo fare il capitano di mare, per viaggiare, conoscere il mondo”. Dopo che a Pesaro si tenne, dal 26 luglio al 31 agosto 1979 presso Palazzo Mazzolari-Mosca, una mostra delle sue sculture in legno, pietra e cuoio, Agapito Miniucchi iniziò a lavorare a un monumento per uno spazio aperto della città. Per progettarla e realizzarla, l'artista si ispirò proprio a quel mare antico e mutevole, generoso e selvaggio; quel mare che aveva accompagnato la sua crescita e assistito alle tappe della sua formazione. “Il mio affettuoso legame con Pesaro e con quel luogo mi ha suggerito di creare una scultura, ‘Arim’ (termine etrusco), nel 1982, che coniugasse terra e mare, nel desiderio innato nell’uomo per la conoscenza, l’avventura. Odisseo ne è stato l’esempio più eclatante”. Con quello spirito, lo scultore creò l'onda che si abbatte sulla pietra. L'onda di acciaio esprime la forza del mare, mentre la patina ossidata che la ricopre, grazie all'impiego dell'acciaio corten, esprime l'effetto del tempo sulla natura e la civiltà, le sue connessioni con il mondo antico. E la pietra, da cui l'onda è inseparabile, è simbolo chiaro della stabilità della terra, della ricerca di pace e sicurezza che è carattere della migliore umanità. L’opera fu inaugurata nel 1983, nei giardini di via Colombo, di fronte a Villa Olga. A proposito del titolo attribuito dall'artista alla scultura di Pesaro, “Arim”, esso conferma la passione del maestro per le lingue antiche. L'etrusco, nel caso specifico. In quella lingua arcaica, "Arim" significa “scimmia”, animale che ritroviamo più volte sui reperti che ci parlano del popolo dell'Etruria. Il termine "Arim" era connesso a importanti famiglie, un cognomen anch'esso legato ai viaggi attraverso il mare, a lontane terre esotiche, al popolo dei cartaginesi con cui gli etruschi intessevano fiorenti commerci. Così si spiega il titolo dell’opera, che è simbolo, come la scimmia degli etruschi, di viaggi e avventure umane attraverso il mare, verso in luoghi inesplorati, sulla scia della nave di Odisseo. La scultura fu inaugurata a Pesaro nel 1983. Quattro anni prima, in occasione della mostra nel capoluogo marchigiano, Piero Dorazio aveva scritto: “Fa bene il Comune di Pesaro, che fra i primi in Italia ha deciso da anni di sostenere le cruciali vicende della scultura, a incoraggiare questa volta Miniucchi, a offrire al pubblico la possibilità di apprezzare il suo consistente e originale contributo a questo aspetto dell'arte di oggi”.
FUNZIONE DELL’OPERA: L’opera nasce per inserirsi contemporaneamente nello spazio naturale e in quello architettonico della città, celebra con essenzialità concettuale il mare e in particolare quel mare di Pesaro che sembra diviso in due parti dal moletto, con le sue scogliere e le sue spiagge, sulle quali le mareggiate depositano tronchi e rami, come a suggellare il legame, stretto attraverso i fiumi, fra la costa e l'entroterra. Contemporaneamente, "Arim" rappresenta la stretta relazione fra i popoli - e nello specifico la gente di Pesaro - e quell'elemento marino che da sempre li invita a una continua esplorazione del mondo e nel contempo della propria interiorità, del proprio spirito indomito, delle proprie tradizioni.
DESCRIZIONE E COMPOSIZIONE: Lo scultore scelse la pietra per rappresentare la terra, una pietra poderosa e squadrata, su cui effettuò un taglio obliquo estremamente preciso, nel quale inserì una traversina ondulata in acciaio corten, per rappresentare un’onda marina fissata in una dimensione immutabile, perenne, fuori dal tempo. In quegli anni il maestro dedicava grande attenzione alle opere megalitiche, agli ipogei, agli altari in pietra dell'antichità primeva, mentre l'acciaio corten rappresentava, nella sua poetica, il mondo moderno, un immenso cantiere caratterizzato dalla continua riedificazione degli spazi umanizzati. La patina di ruggine, che trasmette a chi osserva le opere un senso di impermanenza, di precarietà, non intacca in realtà il materiale; al contrario, lo protegge dalla corrosione e assume un colore più scuro nel corso del tempo. Non a caso l'artista scelse l'acciaio corten per alcuni dei suoi capolavori, come la gigantesca scultura “Uprium” (nome etrusco di Iperione), datata 1980, che si trova al centro della rotonda di piazzale dell'Acciaio, a Terni, o le due sculture “Reditus ad origines” installate nel 2009 presso il Polo Scientifico Tecnologico dell'Università degli Studi di Ferrara.
BIOGRAFIA Agapito Miniucchi nacque a Rocca Sinibalda (RI) il 26 settembre 1923. Dall'età di 10 anni visse a Pesaro con i genitori dove si rafforzò il suo rapporto con il mare, tanto che sognava di diventare, un giorno, capitano di vascello. Studiò Medicina e Chirurgia ed esercitò la professione di odontoiatra. Iniziò a dipingere nei primi anni Cinquanta, orientandosi verso l'arte figurativa, dedicando particolare attenzione alla pittura naturalista e al realismo magico. Realizzò la prima personale nel 1953 presso la Galleria Zingarini di Terni. Nel 1959 partecipò alla VIII Quadriennale di Roma, caratterizzata dal confronto fra figurativi e non figurativi, diatriba che l'artista visse con partecipazione. Dal 1964 seguì con grande interesse l'affermarsi dell'Arte concettuale, del Minimalismo, dell'Arte povera italiana. A partire dal 1968 si dedicò completamente alla scultura. Abbandonate le prime ricerche figurative, l’artista, negli anni settanta, realizzò opere di notevole impatto, avvalendosi di materiali poveri come il legno, la pietra, il ferro, il cuoio. Nel 1970 tenne una personale alla Galleria Poliantea di Terni, nel 1974 alla Galleria La Virgola di Fabriano, nel 1976 alla Due Mondi di Roma e alla Sangallo di Firenze. Nel 1977 alcune sue opere furono presentate al Festival di Spoleto e l’artista venne invitato al Festival dei Due Mondi di Charleston (Usa). Nel 1979 il Comune di Pesaro organizzò una sua esposizione, dove l’artista presentò una serie di sculture in legno. Verso la fine degli anni settanta privilegiò l’acciaio nei progetti relativi a sculture di grandi dimensioni, destinate agli spazi pubblici. Contemporaneamente tenne personali a Venezia, Ravenna, Roma e altre città. Risalgono alla metà degli anni 1980 le sue opere di piccolo formato caratterizzate da colature di piombo nelle fessure della pietra naturale di Cesi. Nel 1986 fu invitato alla Biennale di Venezia, nella sezione “Arte e Alchimia”. In quel periodo pose in simbiosi con il legno, il ferro, la pietra e le traversine abbandonate dei binari ferroviari, materiali leggeri come giunchi flessibili e corde. Nel 1987 partecipò alla XXX Biennale Nazionale d'Arte Città di Milano presso il Palazzo della Permanente. Risale al 1989 la personale al Palazzo dell'Arengo di Rimini. Negli anni 1990 si segnalano, fra le altre mostre personali e collettive, le antologiche di Cavriago e di Terni. Terni, Ferrara, Perugia, Reggio Emilia, Pesaro sono fra le città che accolsero le sue opere monumentali. Nel 2000 il Comune di Terni gli dedicò una grande antologica presso Palazzo Gazzoli. Opere di Agapito Miniucchi si trovano in un gran numero di collezioni pubbliche e private, fra cui le collezioni della Pinacoteca d’Arte Moderna di Spoleto e quella della Provincia di Reggio Emilia, il Museo d'Arte Moderna di Terni, la George Town University, il Museo D’Arte Moderna di Fort Lauderdale, l'Istituto Italiano di Cultura di New York. Il 7 luglio 2007 è stato inaugurato a Rocca Sinibalda (Rieti) il museo a lui dedicato, in piazza della Vittoria, 15.
BIBLIOGRAFIA
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi”, Charleston (South Carolina, Usa), dal 25/05 al 05/6/1977, testo di Agapito Miniucchi, Edizioni Spoleto Festival, Spoleto 1977.
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi - sculture”, testi critici di Piero Dorazio e Cesare Vivaldi, Palazzo Mazzolari Mosca, Pesaro, dal 26/7 al 31/08/1979, Edizioni Comune di Pesaro, Pesaro 1979.
- Cesare Vivaldi, “Le parole e la forma”, 12 poesie per 12 artisti, Ed. Questarte Libri, 1984.
- Mariano Apa, Mario Cresci, Massimo Dolcini, “Agapito Miniucchi - pietra, ferro, legno”, Ed.izioni Laterza, Roma-Bari 1986.
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi - sculture 1985/1989”, Rimini, Palazzo dell’Arengo, dal 29/04 all’11/06/1989, testo critico di Cesare Vivaldi, Edizioni Comune di Rimini, Rimini 1989.
- “Le profezie del Beato Tommasuccio da Foligno”, prefazione di Cesare Vivaldi, introduzione e parafrasi di Silvestro Nessi, quattro xilografie di Agapito Miniucchi, Ed. Giampiero Zazzera - libraio in Lodi 1989.
- “Iacopone da Todi”, disegni di Agapito Miniucchi, prefazione di Liliana Scrittore, testi critici di Silvestro Nessi, Piero Dorazio e Cesare Vivaldi, Editori Laterza, Roma-Bari 1991.
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi”, Cavriago (Reggio Emilia) dal 31/01 all’1/03/1998, a cura di Sandro Parmigiani, Ed. Mazzotta, Milano 1998.
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi - antologica”, Terni, Palazzo Grazzoli, dal 02 al 25 aprile 2000, testi critici di Elena Pontiggia, e Sandro Parmigiani, Edizioni Comune di Terni, Terni 2000.
- Opuscolo per l’inaugurazione della grande scultura di Miniucchi “Reditus ad origines”, Polo Scientifico Tecnologico di Ferrara, 9/06/2009, presentazione di Patrizio Bianchi (Rettore Università di Ferrara), contributi critici di Ada Patrizia Fiorillo e Sandro Parmigiani, Edizioni Università di Ferrara, Ferrara 2009
Scheda a cura di Roberto Malini , scrittore e saggista
Agapito Miniucchi, Monumento ai Marinai Caduti, 2005, Viale Trieste

“A chi il mare ha tolto la vita mortale”
Pesaro, tra viale Trieste e via Napoli
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Agapito Miniucchi
Denominazione
“A chi il mare ha tolto la vita mortale”
Datazione
2003
Inaugurazione
2005
Dimensioni
Basamento: H cm 54; L cm 554; P cm 124,50
Monumento: H cm 216; L cm 392; P cm 50
Luogo di collocazione
Pesaro, Giardini Nilde Iotti di via Cristoforo Colombo
Materiale
Pietra di Todi; basamento in cemento armato rivestito in acciaio inox
Soggetto
Monumento ai Marinai caduti. Metafora, attraverso i simboli della pietra e dell’acqua che la scava, del coraggio e contemporaneamente della caducità umana nell’immensità del mare.
STORIA: “Una volta marinaio… marinaio per sempre”. Con questo motto fu fondata, nel 1943, l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (ANMI), sodalizio apolitico e senza fini di lucro di cittadini appartenenti, senza distinzione di grado, alla Marina Militare. A Pesaro vi è una sede dell’Associazione, i cui fondatori hanno coltivato un sogno dal termine della Seconda guerra mondiale fino al 19 giugno 2005, quando si è realizzato. Sessant’anni di attesa perché il progetto di dare alla città un monumento ai Marinai caduti diventasse realtà, con l’inaugurazione dell’opera dello scultore Agapito Miniucchi, intitolata “A chi il mare ha tolto la vita mortale”. Quel giorno, alla presenza delle principali autorità cittadine, la cerimonia ha visto partecipare un nutrito pubblico, che ha applaudito calorosamente il taglio del nastro inaugurale e la scopertura del monumento ai Marinai, seguito dalla sfilata dei gonfaloni dei comuni della provincia e dal concerto della Banda musicale della Marina Militare. La scelta dell’artista cui affidare un monumento tanto agognato e inseguito, non poteva che cadere su Agapito Miniucchi, scultore profondamente ispirato dal mare, ambiente da cui ha avuto origine la vita sulla terra e culla di civiltà. Nato a Rocca Sinibalda, Agapito Miniucchi si trasferì con i genitori a Pesaro nel 1933, quando aveva dieci anni. La sua famiglia visse a pochi passi dal mare, a Villa Olga, aristocratico edificio residenziale sito al numero 45 di viale Zara, verso il “Moletto”. La crescita del ragazzo - e la contemporanea maturazione dell’animo di artista che era già in lui - è avvenuta presso l’ambiente marino, nutrita dalla bellezza mutevole dell’Adriatico, ora calmo e trasparente, ora selvaggio e incontrollabile. Chi vive o ha vissuto in una città di mare, conosce bene quel profumo di salsedine e mistero che contiene in sé l’idea del viaggio umano, viaggio che inizia sempre dall’impulso di lasciare le certezza quotidiane per seguire il richiamo della scoperta, della conoscenza, irrefrenabile. “Le suggestioni di quel tratto di mare,” scrisse nel 2012, “hanno inciso profondamente nella mia formazione giovanile tanto che volevo fare il capitano di mare, per viaggiare, conoscere il mondo”. Nessuno meglio di Agapito avrebbe potuto scolpire il mare, scolpire il più grande sogno dell’uomo e contemporaneamente il suo più grande dolore, causato dalla perdita di chi, per servire il suo Paese, non tornerà mai più sulla terra ferma.
FUNZIONE DELL’OPERA: I monumenti ai caduti hanno il fine di conservare in avvenire la memoria di eventi luttuosi che fanno parte dell’eredità storica e umana dei popoli, eventi caratterizzati dalla perdita di vite umane nel corso di operazioni militari. Questo genere di sculture è spesso connotato dalla presenza di elementi simbolici comprensibili a tutti, perché sia immediatamente identificabile agli occhi di chi li guarda il valore del sacrificio di esseri umani trasformati in garanti di un dovere collettivo verso la patria. La Marina Militare e l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia attribuiscono un’importanza primaria alla creazione di monumenti che perpetuino il ricordo dei marinai caduti e di consolidare e divulgare i comuni valori della cultura e delle tradizioni marinare. L’opera “A chi il mare ha tolto la vita mortale” di Agapito Miniucchi esprime con grande forza espressiva tali valori, senza ricorrere ad alcuna forma retorica, ma, anzi, universalizzandone il doloroso messaggio.
DESCRIZIONE E COMPOSIZIONE: “A chi il mare ha tolto la vita mortale” è un monumento formato da un basamento in cemento armato rivestito in acciaio inox (H cm 54; L cm 554; P cm 124,50) su cui è posta, divisa in due parti, una scultura in pietra di Todi. La sezione che a prima vista appare come un quadrato con un angolo rivolto verso il basso è in realtà rettangolare e misura cm 215 di altezza per cm 220 di altezza. La massima profondità è di cm 50. Sul basamento è ben visibile il titolo. in grandi caratteri blu. È l’artista stessa a descrivere il monumento ai Marinai caduti, in una lettera dattiloscritta inviata all’assessore alla Cultura del Comune di Pesaro Luca Bartolucci in data 15 ottobre 2002: “Il canto dell’acqua scava la sacralità della pietra per trovare la pace nel silenzio degli Dei. Per annullare l’illusione che le apparenti espressioni di energia nella possanza della pietra siano inesauribili, che la bara già pronta alla nascita rimarrà vuota, che la carezza del vento muoverà per sempre le verdi cime degli alberi, i freschi brividi del mare, le bianche nuvole erranti nella clarità alta del cielo”.
BIOGRAFIA:
Agapito Miniucchi nacque a Rocca Sinibalda (RI) il 26 settembre 1923. Dall'età di 10 anni visse a Pesaro con i genitori dove si rafforzò il suo rapporto con il mare, tanto che sognava di diventare, un giorno, capitano di vascello. Studiò Medicina e Chirurgia ed esercitò la professione di odontoiatra. Iniziò a dipingere nei primi anni Cinquanta, orientandosi verso l'arte figurativa, dedicando particolare attenzione alla pittura naturalista e al realismo magico.
Realizzò la prima personale nel 1953 presso la Galleria Zingarini di Terni. Nel 1959 partecipò alla VIII Quadriennale di Roma, caratterizzata dal confronto fra figurativi e non figurativi, diatriba che l'artista visse con partecipazione. Dal 1964 seguì con grande interesse l'affermarsi dell'Arte concettuale, del Minimalismo, dell'Arte povera italiana. A partire dal 1968 si dedicò completamente alla scultura. Abbandonate le prime ricerche figurative, l’artista, negli anni settanta, realizzò opere di notevole impatto, avvalendosi di materiali poveri come il legno, la pietra, il ferro, il cuoio. Nel 1970 tenne una personale alla Galleria Poliantea di Terni, nel 1974 alla Galleria La Virgola di Fabriano, nel 1976 alla Due Mondi di Roma e alla Sangallo di Firenze. Nel 1977 alcune sue opere furono presentate al Festival di Spoleto e l’artista venne invitato al Festival dei Due Mondi di Charleston (Usa). Nel 1979 il Comune di Pesaro organizzò una sua esposizione, dove l’artista presentò una serie di sculture in legno. Verso la fine degli anni settanta privilegiò l’acciaio nei progetti relativi a sculture di grandi dimensioni, destinate agli spazi pubblici. Contemporaneamente tenne personali a Venezia, Ravenna, Roma e altre città. Risalgono alla metà degli anni 1980 le sue opere di piccolo formato caratterizzate da colature di piombo nelle fessure della pietra naturale di Cesi. Nel 1986 fu invitato alla Biennale di Venezia, nella sezione “Arte e Alchimia”. In quel periodo pose in simbiosi con il legno, il ferro, la pietra e le traversine abbandonate dei binari ferroviari, materiali leggeri come giunchi flessibili e corde. Nel 1987 partecipò alla XXX Biennale Nazionale d'Arte Città di Milano presso il Palazzo della Permanente. Risale al 1989 la personale al Palazzo dell'Arengo di Rimini. Negli anni 1990 si segnalano, fra le altre mostre personali e collettive, le antologiche di Cavriago e di Terni. Terni, Ferrara, Perugia, Reggio Emilia, Pesaro sono fra le città che accolsero le sue opere monumentali. Nel 2000 il Comune di Terni gli dedicò una grande antologica presso Palazzo Gazzoli. Opere di Agapito Miniucchi si trovano in un gran numero di collezioni pubbliche e private, fra cui le collezioni della Pinacoteca d’Arte Moderna di Spoleto e quella della Provincia di Reggio Emilia, il Museo d'Arte Moderna di Terni, la George Town University, il Museo D’Arte Moderna di Fort Lauderdale, l'Istituto Italiano di Cultura di New York. Il 7 luglio 2007 è stato inaugurato a Rocca Sinibalda (Rieti) il museo a lui dedicato, in piazza della Vittoria, 15.
BIBLIOGRAFIA:
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi”, Charleston (South Carolina, Usa), dal 25/05 al 05/6/1977, testo di Agapito Miniucchi, Edizioni Spoleto Festival, Spoleto 1977.
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi - sculture”, testi critici di Piero Dorazio e Cesare Vivaldi, Palazzo Mazzolari Mosca, Pesaro, dal 26/7 al 31/08/1979, Edizioni Comune di Pesaro, Pesaro 1979.
- Cesare Vivaldi, “Le parole e la forma”, 12 poesie per 12 artisti, Ed. Questarte Libri, 1984.
- Mariano Apa, Mario Cresci, Massimo Dolcini, “Agapito Miniucchi - pietra, ferro, legno”, Ed.izioni Laterza, Roma-Bari 1986.
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi - sculture 1985/1989”, Rimini, Palazzo dell’Arengo, dal 29/04 all’11/06/1989, testo critico di Cesare Vivaldi, Edizioni Comune di Rimini, Rimini 1989.
- “Le profezie del Beato Tommasuccio da Foligno”, prefazione di Cesare Vivaldi, introduzione e parafrasi di Silvestro Nessi, quattro xilografie di Agapito Miniucchi, Ed. Giampiero Zazzera - libraio in Lodi 1989.
- “Iacopone da Todi”, disegni di Agapito Miniucchi, prefazione di Liliana Scrittore, testi critici di Silvestro Nessi, Piero Dorazio e Cesare Vivaldi, Editori Laterza, Roma-Bari 1991.
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi”, Cavriago (Reggio Emilia) dal 31/01 all’1/03/1998, a cura di Sandro Parmigiani, Ed. Mazzotta, Milano 1998.
- Catalogo mostra “Agapito Miniucchi - antologica”, Terni, Palazzo Grazzoli, dal 02 al 25 aprile 2000, testi critici di Elena Pontiggia, e Sandro Parmigiani, Edizioni Comune di Terni, Terni 2000.
- Opuscolo per l’inaugurazione della grande scultura di Miniucchi “Reditus ad origines”, Polo Scientifico Tecnologico di Ferrara, 9/06/2009, presentazione di Patrizio Bianchi (Rettore Università di Ferrara), contributi critici di Ada Patrizia Fiorillo e Sandro Parmigiani, Edizioni Università di Ferrara, Ferrara 2009
Scheda a cura di Roberto Malini , scrittore e saggista
Arnaldo Pomodoro Sfera Grande, 1971, Piazzale della Libertà

“Sfera Grande”
Pesaro, Piazzale della Libertà
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Arnaldo Pomodoro
Denominazione
“Sfera grande”
Dimensioni
Diametro 350 cm
Luogo di collocazione
Pesaro, Piazzale della Libertà
Materiale
Fusione in bronzo
Soggetto
La fragilità della materia e quanto essa possa celare, svelando la realtà, fuori dalla perfezione apparente della forma
STORIA: Verso l’orizzonte, fra terra e acqua, un’imponente opera sferica si fa intreccio di relazioni
fra logos, ethos e pathos, in una storia che parla del succedersi di due corpi scultorei e di sodalizi
d’amicizia e d’arte.
Arnaldo Pomodoro in seguito ad una grande mostra personale a Pesaro nel 1971, promossa dalla
galleria “Il Segnapassi” (diretta da Renato Cocchi, socie Franca Mancini e Milena Ugolini), dal
Comune, dall’Ente Turismo e dalla Provincia, dona alla città in cui ha trascorso la giovinezza e
trovato l’incoraggiamento all’arte, la prova in fiberglass di “Sfera Grande”. Questa era il modello
della sua prima opera monumentale, dalle grandi dimensioni, commissionata dal Ministero degli
esteri per rappresentare l’arte e la poesia all’EXPO di Montreal del 1966/67, posta sul tetto del
padiglione italiano; poi collocata nel 1968, per volere di Amintore Fanfani, nel piazzale della
Farnesina diventando logo del Ministero degli esteri.
L’opera per l’artista non segna solo l’inizio della prima e grande committenza pubblica, che
richiese uno studio lungo e impegnativo provocando in lui momenti di grande tensione, ma è
anche il tempo del riconoscimento internazionale quando il “Time Magazine” definisce lui e Calder
gli scultori più originali di tutto l’Expo. Opera che si genera all’interno di un comitato illustre in cui
Leoncillo rappresentava il costume e Guerrini l’industria e la tecnologia. Inizialmente doveva
essere delle dimensioni di 500-700 cm, poi si portò a 350 cm per la disponibilità di budget.
Per volontà dell’artista, di concerto con l’amministrazione di Pesaro, viene scelta Piazzale della
Libertà, ove prima si trovava l’Ex Kursaal, per inserire la sfera bianca che sarà posata sul rilevo di
una dolce duna, come desiderato dall’autore, affinché si potesse ammirare come fluttuante
sull’acqua.
In asse visivo con il decumano dal centro storico della città, il nuovo elemento crea un contraltare,
un dialogo percettivo e percorribile fra il vuoto urbano di Piazza del Popolo e la monumentalità
accessibile della rotonda sul litorale. Rialzata sulla terra, simbolo della contemporaneità, la sfera si
fa riferimento identitario e fisico, riconosciuto soprattutto dai giovani come punto d’incontro,
capace di generare un senso d’appartenenza nell’intera comunità diventando parte inseparabile di
quel luogo che per lei era stato scelto.
Nel trascorrere degli anni, per decoro urbano, morale e prestigio del lavoro del Maestro, è sempre
più forte il suo desiderio di vederla sostituita con una sua sfera in bronzo; in particolare dopo una
cartolina in cui le viene attribuita la definizione di Tomato’s Ball [The Tomatoes Ball], poco gradita
all’artista che la definisce ormai un mozzico scarabocchiato poiché riempita di numerose scritte.
Ecco le ragioni che portano dal 1991 il sottoporre la rilevante istanza al Comune di Pesaro e la
ricerca di possibili finanziatori dell’intervento avendo due obiettivi: realizzare la fusione bronzea,
per creare un esemplare uguale a quello di New York, Mount Sinai Hospital, Teheran e Roma, e
sviluppare un progetto di sistemazione esterna che potesse comprendere l’intera Piazza della
Libertà. Vicino a Pomodoro in questo percorso lo stimato amico di Pesaro, geom. Leonardo Della
Chiara, che diventa raccordo con la pubblica amministrazione e le istituzioni che interverranno.
In una lettera che Leonardo invia ad Arnaldo il 7 giugno 1991 rivela all’artista che da subito vi è un
interesse del Comune, e che per voce di Cartervo Cangiotti, vi potrebbe essere la disponibilità
dell’Associazione industriali e di banche. Arnaldo la settimana seguente, 14 giugno 1991, esprime
la profonda felicità per la fattiva opportunità di poter vedere la sua sfera realizzata e cheprovvederà a mandare a breve un preventivo; riconoscendo l’occasione perfetta per elaborare
insieme all’amico il nuovo disegno di tutta l’aera. Tuttavia in questa prima istanza non si ebbero
risultati.
La trattativa per la fusione continuò, e nei primi mesi del 1996, con alcune perplessità dei tecnici,
in una riunione decisiva con il sindaco Oriano Giovannelli, esponesti dell’amministrazione,
funzionari, e progettista, si decidono i tempi con i quali prelevare la bianca sfera per trasferirla a
Milano.
Il preventivo elaborato dalla Fonderia De Andreis di Milano, con radici pesaresi, scelta da
Pomodoro, fu già trasmesso il 18 giugno 1991, e negli anni seguenti solo attraverso il fattivo e
perseverante interesse dell’imprenditore Vittorio Livi vennero raccolte le reali disponibilità
d’investimento sul lavoro. I primi contributi documentati dal Resto del Carlino sono: 100 milioni da
Banca delle Marche, 100 milioni da Banca popolare dell’Adriatico, 100 milioni da industriali, 100
milioni dal Comune, 50 milioni dalla Provincia di Pesaro.
La palla verrà prelevata nell’estate del 1996 per essere tagliata a creare il calco della nuova.
Nell’aprile 1997 Arnaldo in una lettera al sindaco Giovannelli comunica che i lavori della fusione
procedono a pieno ritmo e dovrebbero essere ultimati entro il 30 giugno, come accordi. La sfera
bianca verrà ricomposta al termine della lavorazione, con il pensiero di ricollocarla presso la
Fondazione Arnaldo Pomodoro.
Il sindaco viene esortato dal Maestro alla verifica, da parte degli uffici competenti, dei disegni
relativi la progettazione della base insieme a Della Chiara incaricato di seguire l’intervento. L’ing.
Carlo Chiesa direttore del settore progettazione e realizzazione nuove opere di Pesaro comunica
l’intenzione di iniziare gli interventi di collocazione della scultura per i quali chiede gli esecutivi di
ancoraggio della sfera al plinto di fondazione, da fornire all’impresa. I primi di novembre
l’armatura sarà pronta.
In un articolo del 21 maggio 1998 si riporta l’esclamazione dell’artista “Finalmente il pomo è d’oro”
poiché sono terminati i lavori di fusione e di lucidatura dell’opera di 5 tonnellate di bronzo. In
quello stesso giorno venne riempita la vasca che l’accoglierà come basamento, per vedere la
tracimazione dell’acqua, e rivolgendosi al Maestro Leonardo scriverà: “L’effetto è bellissimo”.
Il 22 maggio il globo viene posato sulla sede, un momento indimenticabile per la comunità che
partecipò, poiché l’assenza fu un tempo interminabile, e durante la movimentazione per arrivare
al perno basamentale l’opera fu accompagnata da un applauso di approvazione, fra gli sguardi
meravigliati dei turisti che si trovavano a passare. Tutto è pronto per l’ufficiale inaugurazione di
sabato 30 maggio. Pomodoro in una lettera autografa scriverà l’1 giugno 1998 “Caro Leonardo,
nuovamente GRAZIE infinite per tutto ciò che è stato fatto per la PALLA : proprio BELLA
indipendentemente da me che l’ho partorita. Ora tocca lavorare con altrettanta tenacia alla
Rotonda. [...]”.
Per l’investimento sulla fusione e il suo basamento, di circa 750 milioni, intervengono secondo il
Resto del Carlino: il Comune, la Provincia, la Banca Popolare dell’Adriatico, la Fondazione
CariPesaro e gli industriali: Belligotti, Berloni, Selci, Cascino, Ferri, Livi, Montagna, Mulazzani,
Cangiotti e Scavolini. Sarà coinvolto il comitato cittadino SERC: Studio e Recupero della Città,
presieduto dal notaio Roberto Licini, nella parte finale di gestione economica della fusione.Ricomposta, la sfera in fibra di vetro trovò nuova collocazione nella piazza di Rozzano (MI), e a
causa di un atto vandalico il 31 dicembre del 2001 fu distrutta. Pomodoro particolarmente
spaventato e provato dall’accaduto, decise che i 120 mila euro acquisti dall’assicurazione
dovevano essere impiegati per completare il più grande progetto urbano per Piazza della Libertà
che avrebbe visto il compimento dell’intervento su Pesaro. L’occasione di progettualità era
preziosa perché l’area è il sito rappresentativo della città sul mare, fulcro nell’intersezione fra Viale
Trieste e Viale della Repubblica.
Lo studio della sistemazione venne presentato contestualmente la base per la nuova sfera. Dai
disegni di archivio, in una prima idea urbana si prevedeva un verde a piccole isole disposto in
modo concentrico a rafforzare la fluttuante monumentalità del globo inserito sulla vasca d’acqua
in posizione assiale verso la città. Nella successiva variazione, si valorizza un aumento della
superficie verde modellata in cinque isole informali caratterizzate da un lieve saliscendi dell’altezza
della vasca di 60 cm, e la collocazione di due piccole piazze simmetriche ad intercettare il viale
pedonale vicino.
Il 30 giugno 2006 è documenta la valutazione del progetto preliminare del giardino ovale per un
importo di 800.000 euro, soluzione urbana che il 10 ottobre 2006 Pomodoro si raccomanda a Della
Chiara di tutelare avendo condiviso insieme ogni idea. Il dibattito continuò nel febbraio 2008 in cui
viene chiesto un ulteriore aumento della superficie verde e del patrimonio arboreo ammettendo
una sola piazzola di cemento. Modificazioni che portarono all’attuale assetto, di due percorsi
paralleli e perpendicolari al litorale che comprendono la sfera posandosi sul verde continuo.
L’opera oggi vive un contesto celebrativo e monumentale, in cui non potremo avvicinarci per
toccarla, ma l’appropriazione sarà contemplativa e di tensione, data dai riflessi della superficie
metallica e liquida che pervaderanno gli occhi di chi la incrocerà con lo sguardo.
FUNZIONE DELL’OPERA: Dalle parole del Maestro: “ Nel mio lavoro vedo le crepe, le pareti erose, il
potenziale distruttivo che emerge dal nostro tempo di disillusione”. Arnaldo Pomodoro.
DESCRIZIONE: Parole su Sfera Grande “Viene spesso ripresa in primo piano nei no ziari televisivi,
divenendo una sorta di logo per le ques oni e gli even internazionali. uando sono mostra i
de agli dell’opera e la ripresa entra nei suoi grovigli, la sensazione quella dell’inquietudine. Mi fa
piacere che quest’immagine venga vista come metafora della tragicità e delle contraddizioni della
storia attuale, e della tensione per il loro superamento.” Arnaldo Pomodoro.
Fonte | Statement in scheda dell’opera di Pesaro condivisa dall’Archivio Arnaldo Pomodoro
Dalle parole del Maestro: “La sfera una forma magica. La superficie lucida rispecchia ciò che c'
intorno, restituendo una percezione dello spazio diversa da quello reale, e crea mistero. Rompere
questa forma perfetta mi permette di scoprirne le fermentazioni interne mostruose e pure. [...]”.
“[Le] mie sfere, infatti, ricordano in un certo senso la rottura e la disintegrazione dell'atomo”.
Arnaldo Pomodoro.
Fonte | www.archimagazine.com/bpomodoro.htm
COMPOSIZIONE GENERALE: Prima sfera in fiberglass, diametro 350 cm. Posizionata su estremità di
cono in terra-calcestruzzo. Seconda sfera in bronzo, diametro 350 cm. In posizione centrale a
sfioro su piano d’acqua circolare. Collocata su l’asse centrale rispetto di Piazza della libertàspostata verso viale Trieste. La Sfera, nella sua geometria, si configura come un solido continuo,
che lascia leggere la forma primordiale e primigenia, aprendosi con un’ampia scanalatura ad arco
che consente di vedere le numerose componenti interne, di soldi prismatici e lame continue.
ESEMPLARI:
Sfera grande, 1966-1967
1] bronzo ø 350 cm
2] fiberglass ø 350 cm
1] 2 esemplari + 2 prove d'artista
2] 2 esemplari
Teheran, Eram Park | bronzo
Roma, Ministero degli Affari Esteri | bronzo
Pesaro, piazzale della Libertà | bronzo
Pesaro, lungomare | Dal 1971 al 1998 fiberglass
New York, The Mount Sinai Hospital | bronzo
Fonte | Arnaldo Pomodoro Catalogue Raisonné [427-AP250] |
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BIOGRAFIA:
Arnaldo Pomodoro nasce nel Montefeltro, 1926, vive e trova l’incoraggiamento all’arte presso la
città di Pesaro. Dal 1954 si trasferisce stabilmente a Milano.
La produzione artistica inizia negli anni ‘50 quando realizza altorilievi dove emerge una peculiare
“scrittura”, che viene ampiamente interpretata dai maggiori critici. Successivamente assume come
soggetto di studio forme tridimensionali di sfere, cubi, piramidi, coni, colonne, dischi, in bronzo,
interpretati con una superficie liscia all’esterno ed un interno di materia frantumata e caotica. Le
forme rompono la perfezione per celare il mistero, mantengono i loro profili per poi essere
squarciate, corrosione, scavate nel loro intimo. La dualità fra interno ed esterno sarà una costante
nella sua produzione. Nel 1966 inizia la realizzazione di opere monumentali con la commissione
della “sfera grande” di tre metri e mezzo di diametro per l’Expo di Montreal.
Gli spazi pubblici saranno i luoghi dediti alle innumerevoli sculture di grande suggestione e
importanza simbolica: nelle piazze di Milano, Copenaghen, Brisbane, Los Angeles, Darmstadt, di
fronte al Trinity College dell’Università di Dublino, al Mills College in California, nel Cortile della
Pigna dei Musei Vaticani, di fronte alle Nazioni Unite a New York, nella sede parigina dell’Unesco,
nei parchi sculturali della Pepsi Cola a Purchase e dello Storm King Art Center a Mountainville,
poco distanti da New York City.
Fra le opere ambientali incompiute il Progetto per il Cimitero di Urbino del 1973 scavato dentro la
collina urbinate, a Moto terreno solare, il lungo murale in cemento per il Simposio di Minoa a
Marsala, dalla Sala d’Armi per il Museo Poldi Pezzoli di Milano, all’environment Ingresso nel
labirinto, dedicato all’Epopea di Gilgamesh, fino al Carapace, la cantina di Bevagna realizzata per la
famiglia Lunelli. Memorabili mostre antologiche e le esposizioni itineranti che si sono svolte in
Europa, Stati Uniti, Australia e Giappone.Si è dedicato alla scenografia già dalle attività svolte con il GAD di Pesaro all’inizio della sua
attività. Ha realizzato ‘‘macchine spettacolari’’ per numerosi lavori teatrali, dalla tragedia greca al
melodramma, dal teatro contemporaneo alla musica. Insegna nei dipartimenti d'arte delle
università americane: Stanford University, University of California a Berkeley, Mills College.
Riceve numerosi premi e importanti riconoscimenti, in particolare nel 1992 il Trinity College
dell'Università di Dublino gli conferisce la Laurea honoris causa in Lettere e nel 2001 l’Università di
Ancona quella in Ingegneria edile-architettura.
Fonte | www.arnaldopomodoro.it/biography
BIBLIOGRAFIA:
TESTI RELATIVI L’ARTISTA
L'ingresso nel labirinto di Arnaldo Pomodoro, con-fine edizioni, Monghidoro, 2016
Arnaldo Pomodoro, Skira editore, Milano, 2016
Arnaldo Pomodoro. Sculture per San Leo e per Cagliostro, Skira editore, Milano, 1998
Aldo Colonetti (a cura di), Arnaldo Pomodoro. Carapace. La cantina della Tenuta Castelbuono,
Editrice Compositori, Bologna, 2012
Aldo Colonetti e Ada Masoero (a cura di), Arnaldo Pomodoro. 4 progetti visionari, Fondazione
Arnaldo Pomodoro, Milano, 2016
Arnaldo Pomodoro. Grandi Opere 1972- 2008, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano, 2008
Arnaldo Pomodoro e il Museo Poldi Pezzoli. La Sala d'Armi, Edizioni Olivares, Milano, 2004
Arnaldo Pomodoro nei giardini del Palais-Royal di Parigi, Skira editore, Milano, 2003
Arnaldo Pomodoro, Francesco Leonetti, L'arte lunga, Feltrinelli, Milano, 1992
Arnaldo Pomodoro al Forte del Belvedere, De Luca Editore, Rome, 1986
Arnaldo Pomodoro, Amilcare Pizzi, Cinisello Balsamo, 1974
Arnaldo Pomodoro Leonardo della Chiara. Dieci momenti in stretta collaborazione
Colpo d'ala di Arnaldo Pomodoro, Fratelli Palombi editori, Roma, 1998
Francesco Leonetti (a cura di), Il cimitero sepolto. Un progetto di Arnaldo Pomodoro per Urbino,
Feltrinelli Editore, Milano, 1982
Guido Ballo, Dalla poetica del segno alla presenza continua. Arnaldo e Giò Pomodoro, Luigi Maestri
editore, Milano, 1962
Guido Ballo, Le origini romagnole di Boccioni e la scultura omaggio di Arnaldo Pomodoro, Gabriele
Mazzotta editore, Milano, 1984
Italo Mussa (a cura di), Luoghi fondamentali. Sculture di Arnaldo Pomodoro, Fabbri Editori, Milano,
1984
Laura Berra e Bitta Leonetti (a cura di), Scritti critici per Arnaldo Pomodoro e opere dell'artista
1955-2000, Lupetti Editore di comunicazione, Milano, 2000
Libro per le sculture di Arnaldo Pomodoro, Gabriele Mazzotta editore, Milano, 1974
Stefano Esengrini (a cura di), Arnaldo Pomodoro, Forma, segno, spazio. Scritti e dichiarazioni
sull'arte, Maretti editore, Falciano, 2014
Antonio Calbi (a cura di), Arnaldo Pomodoro. Il teatro scolpito, Feltrinelli e Fondazione Arnaldo
Pomodoro, Milano, 2012
Renato Barilli (a cura di), Arnaldo Pomodoro, Il Vicolo Divisione Libri, Cesena, 1995
Rudy Chiappini (a cura di), Arnaldo Pomodoro, Skira editore, Milano, 2004
Sam Hunter (a cura di), Arnaldo Pomodoro, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1995
Sandro Parmiggiani (a cura di), Arnaldo Pomodoro. Opere 1960 - 2005, Skira editore, Reggio Emilia,
2006Sergio Troisi (a cura di), Arnaldo Pomodoro. Opera grafica, progetti visionari, sculture, Electa,
Napoli, 1997
Fonte | www.arnaldopomodoro.it/publications
TESTI IN CUI È CITATA L’OPERA
Fonte | vai alla pagina
DOCUMENTI D’ARCHIVIO
Lettera Pesaro, 07 giugno 1991 da Leonardo Della Chiara a Arnaldo Pomodoro
Lettera Milano, 14 giugno 1991 da Arnaldo Pomodoro a Leonardo Della Chiara
Lettera Milano, 18 giugno 1991 da Studio Arnaldo Pomodoro a Leonardo Della Chiara
Lettera Milano, 01 aprile 1997 da Arnaldo Pomodoro a Oriano Giovanelli
Biglietto, 30 maggio 1998 da Arnaldo Pomodoro a Leonardo Della Chiara
Lettera Milano, 01 ottobre 1998 da Arnaldo Pomodoro a Leonardo Della Chiara
Lettera Milano, 10 ottobre 2006 da Arnaldo Pomodoro a Leonardo Della Chiara
Resto del Carlino Pesaro, 01 febbraio 1996 di Maurizio Gennari
Resto del Carlino Pesaro, 21 maggio 1998 di Maurizio Gennari
Resto del Carlino Pesaro, 23 maggio 1998 di Maurizio Gennari
Corriere Adriatico Pesaro, 23 maggio 1998
Resto del Carlino Pesaro, 21 febbraio 2008 di Maurizio Gennari
Comune di Pesaro, Settore OO. PP., P.g. 9187 PS 3342, 01 ottobre 1997 Collocazione della scultura
“Sfera Grande” di Arnaldo Pomodoro si specchio d’acqua in piazzale della libertà
Giardino Piazzale della Libertà, promemoria e computo spese, 30 giugno 2006 Studio Della Chiara,
con lettera appunti di Arnaldo Pomodoro
Studi grafici di Arnaldo Pomodoro. Piazzale delle Libertà. I nuovi giardini con la sfera in bronzo
collocata sull’acqua
Preventivo spesa, Istruzioni per la pulitura delle mie sculture in bronzo, 05 maggio 2009
DIALOGHI
Vittorio Livi, imprenditore, FIAM e Maurizio Gennari, giornalista, Resto del Carlino
Scheda a cura di Arch. Valentina Radi
Loreno Sguanci, Porta a mare, 1976, Viale Trieste Pesaro

“Porta a mare”
Pesaro, Viale Trieste
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Loreno Sguanci
Datazione
1976
Dimensioni
H. 400 cm x L. 400 cm x 300 cm
Luogo di collocazione
Pesaro, Viale Trieste (ora è installata una copia poiché originale, di proprietà della Pubblica Amministrazione, è in attesa di restauro)
Materiale
Legno (abete) e interventi di colore
Soggetto
Rielaborazione simbolica di un’antica porta a due battenti di accesso alla città posta a confine tra terra e mare
STORIA: L’opera “Porta a Mare”, dello scultore Loreno Sguanci, è espressione di un più ampio
percorso che ha origine dall’idea, affermatasi alla fine degli anni sessanta, di tornare a vivere la
città come luogo di un nuovo e possibile dialogo fra arte e spazio pubblico. Un’idea che a Pesaro,
rispettivamente nel 1971, ’72 e ‘73, ha condotto alla realizzazione di tre importanti eventi che,
attraverso l’esposizione delle opere di M. Ceroli, A. Pomodoro e E. Colla, videro il coinvolgimento
dello spazio urbano come spazio espositivo in cui realizzare dialoghi forti, inconsueti e suggestivi
tra “segni” appartenenti a tempi lontani e comunicanti esperienze culturali ed esistenziali tra loro
diverse. A questi eventi seguirono a livello nazionale la pubblicazione del libro “Urgenza nella
città” di Francesco Somaini ed Enrico Crispolti e subito dopo l’iniziativa per lo spazio urbano,
“Volterra 73”. A livello locale il rafforzarsi del rapporto tra Amministrazione Pubblica e operatori
artistici condusse, nel 1975, alla definizione dell’iniziativa “la città come spazio operativo” che
proponeva la realizzazione di opere plastiche nel e per lo spazio urbano, le opere, infatti,
dovevano essere progettate per la zona mare della città ed in essa installate in modo definitivo.
L’operazione nel suo complesso coinvolse, fin dall’inizio, il Comune, gli scultori, i cittadini e gli
sponsor e nelle Circoscrizioni vennero realizzati incontri e dibattiti. All’iniziativa vennero chiamati i
seguenti artisti: Giò Pomodoro, Marcello Guasti, Loreno Sguanci, Mauro Staccioli. Gli artisti
invitati, provenienti da altre città, furono ospitati a Pesaro e svolsero il lavoro di progettazione
degli interventi plastici tenendo conto dello spazio in cui dovevano essere inseriti e della rete
relazionale che doveva essere generata tra queste nuove presenze, la collettività e la natura fisica
ed evocativa del luogo preso in esame. L’attività artistica degli scultori fu resa fruibile in ogni sua
fase e la cittadinanza ebbe la possibilità di seguire i diversi momenti di ideazione e progettazione
di tutte le opere. Si ebbe così la possibilità di seguire il progetto di Mauro Staccioli, relativo ad un
grande trave in cemento armato con una testa metallica puntata verso il mare che doveva essere
installato a Baia Flaminia, di prendere visione delle singole fasi del progetto di Giò Pomodoro,
comprendente la realizzazione di una piazzetta attraverso parti modulari una delle quali doveva
contenere una scultura in marmo, nonché di assistere passo dopo passo alla realizzazione e alla
collocazione in Viale Trieste dei segni monumentali di Loreno Sguanci ( “Porta a Mare”) e di
Marcello Guasti (“All’interno dell’ovale”).
FUNZIONE DELL’OPERA: L’opera “Porta a Mare” è espressione concreta dell’iniziativa del 1975 “La
città come spazio operativo” e rappresenta, tra l’altro, l’esigenza evidenziata da alcuni scultori,
come ha scritto lo stesso Loreno Sguanci, di “vivere nella società in modo più diretto e
partecipativo” realizzando “segni” appartenenti alla vita contemporanea e alla collettività capaci di
“rispondere all’esigenza del bello, della poesia e alla necessità di una nuova riflessione critica” sul
presente.
DESCRIZIONE: Per quanto concerne la descrizione dell’opera si ritiene utile riportare quanto
scritto dallo scultore “Io, Loreno Sguanci, progettai una scultura in legno che realizzai per uno
spazio sempre sul lungo mare dov’è tuttora visibile. Immaginai una porta perché ricordavo le mura
e le porte di Pesaro demolite nei primi decenni del novecento. Ho pensato al legno, frutto della
terra, lavorato dai calafati per far vivere di mare la città. Immaginai la porta come due ante
semiaperte contro l’orizzonte, un varco attraverso il quale vedere l’altro spazio che compone la
città nella sua storia e nella sua vita di terra e di mare. Poiché la “Porta a Mare” nasce all’internodell’iniziativa “La città come spazio operativo” per una sua più ampia descrizione e conoscenza dei
contenuti appare funzionale riportare qui di seguito ciò che a tal proposito Loreno Sguanci ebbe
modo di dichiarare “Credo che le iniziative fino a ora enunciate siano quelle che hanno mosso alla
comprensione del possibile avvicinamento dell’aspetto immaginativo con l’aspetto amministrativo
della città. Penso che oggi sia recepito il fatto che la fantasia è un volano per i segni ed il pensiero
e che la fantasia promuova anche l’economia, che la fantasia aiuta la ragione; insomma credo che
la fantasia non sia più sentita come un qualcosa in più che se c’è va bene ma che se manca va bene
ugualmente. Credo che la spesa per la cultura sia ormai considerata necessaria quanto quella
prevista per la realizzazione delle cose pratiche”.
COMPOSIZIONE: L’opera “Porta a Mare” è costituita dall’assemblaggio di travi di legno disposti a
scalare dal centro verso le estremità, legati tra loro da fasce in ferro e le cui facce interne sono
colorate di rosso. Il sostegno è dato dall’appoggio a terra e da quattro travi che come contrafforti
diagonali puntellano le due ante. Ogni anta è di 180 cm ed è formata da 7 pali in abete di 25 cm di
spessore l’uno. Il numero totale dei pali utilizzati per la Porta è di 23 di cui 14 per le ante, 5 per la
pedana a terra e 4 per i puntelli diagonali. Per proteggere il legno sono stati collocati, in testa e alla
base dei travi, 28 cappelletti di rame riempiti internamente di catrame. I battenti sono ritmati, su
tutte e due i lati e sia nella parte superiore che in quella inferiore, dall’alterna cadenza di rombi di
identica misura sbozzati ad ascia e rifiniti a sgorbia le cui superfici sono evidenziate da campiture
azzurre. La pedana a terra consente il passaggio da un fronte all’altro.
BIOGRAFIA: Loreno Sguanci (Firenze 1931 – Pesaro 2011), frequenta l’Istituto d’Arte di Porta
Romana diplomandosi al Magistero di scultura sotto la guida del Prof. Bruno Innocenti e nel 1952
si trasferisce a Pesaro per insegnare Discipline plastiche presso l’allora Istituto d’Arte F.
Mengaroni. A Pesaro continua la sua ricerca artistica attraverso una serrata attività che
muovendo da un’iniziale espressione figurativa lo porta ad indagare diversi materiali e nuovi
linguaggi formali. Alla fine degli anni cinquanta i suoi rapporti con la critica e le gallerie si
intensificano e nel 1962 è organizzata la prima mostra personale a Roma presso la galleria
L’Obelisco di Gaspero Del Corso. Nel 1963 è invitato alla Biennale dei Giovani a Parigi e nel 1965 è
presente alla Quadriennale d’Arte di Roma dove, nella sala personale a sua disposizione, espone
una serie di opere di grandi dimensioni, in legno e in legno e rame, che si sviluppano secondo
forme organicistiche. Invitato in numerosi paesi europei per rappresentare con le sue opere la
scultura contemporanea italiana e chiamato a realizzare diversi monumenti nel nostro territorio, la
sua ricerca prosegue nello studio di Pesaro e negli anni settanta affronta con rinnovato vigore lo
studio del segno collegato alla creazione di sculture di grandi dimensioni che lo condurrà alla
realizzazione di opere progettate per rapportarsi con la città come la “Grande Parete” in legno e
colore di Volterra 73 e la “Porta a Mare” di Pesaro del 1976. Gli anni ottanta e novanta sono
caratterizzati dalle grandi “Tavole dei segni” realizzate con un legno durissimo l’Azobè. Di questo
periodo sono anche le sculture per lo spazio pubblico tra le quali possiamo ricordare i Poli-S-Pali
del 1980 (i cui cinque elementi verticali alti sei metri, variamente modulati e colorati, possono
essere trasportati e presentati seguendo diverse possibilità compositive a seconda degli eventi
pubblici che si vogliono segnalare all’attenzione dei cittadini). Del 1992 sono invece il “Luogo della
Memoria” e “Sorgente”, il “Luogo della memoria” è stato realizzato per uno spazio urbano
riedificato nel quale già in precedenza esisteva una struttura industriale di vitale importanza
economica e sociale per la città di Pesaro mentre “Sorgente” è una fontana piramidale che emerge
dal terreno dello spazio urbano di Piazza I Maggio. Nel 1995 Loreno Sguanci viene invitato a Brufaper realizzare nel parco sculture, con un trave lamellare di rovere alto 10 metri, il “Grande segno”.
Nel 2006 realizza, sempre per Pesaro; la monumentale “Falena” rossa e nera in acciaio corten e la
“Fiocina di Nettuno” alta 11 metri per il Lido di Fano. Nel 2007 progetta ed esegue “l’angolo del
poeta” per la piazza di Baia Flaminia a Pesaro. Impegnato nella ricerca artistica Loreno Sguanci ha
saputo dare un importante contributo non solo alla cultura ma anche alla vita politica e sociale
della città in cui ha scelto di lavorare svolgendo l’incarico di Assessore alla Cultura nel 1994, dando
vita, assieme all’allora Sindaco Oriano Giovannelli, nel 1996, al Centro Arti Visive Pescheria di cui
fu il primo Direttore e partecipando alla fondazione dell’Associazione Azobè onlus e al suo Centro
di Sostegno alle Funzioni Educative Familiari “Baricentro”.
BIBLIOGRAFIA:
Documenti, testi audio e testi scritti di proprietà dell’Associazione Archivio Loreno Sguanci. “Arte
italiana contemporanea” Ed. La Ginestra. “Arte contemporanea in Italia” Ed. Presenza.
Enciclopedia universale “Seda” Milano. Cronovideografie - Pesaro tra provincia e mondo 1945 –
1980 Ed. Franco Cosimo Panini. Catalogo Bolaffi d’arte moderna 1964 Ed. Bolaffi Torino
Scheda a cura di Prof.ssa Mariastella Sguanci
Loreno Sguanci, Poli s Pali, 1980, Piazzale Staranzano

“Poli/s/Pali”
Pesaro – 1980 piazzale Staranzano.
Tipologia di manufatto
Cinque elementi in legno con interventi di colore issati su geometriche basi metalliche e componibili secondo schemi variabili nello spazio urbano in cui vengono inseriti.
Autore
Loreno Sguanci
Datazione
1980
Dimensioni
H. 600 cm x L. 25 cm x 25 cm
Luogo di collocazione
Pesaro, piazzale Staranzano
Materiale
Legno (abete) e interventi di colore. Ferro per le basi geometriche di sostegno
Soggetto
Gruppo mobile composto da cinque elementi verticali sostenuti da basi quadrangolari in ferro, aperto a diversi schemi compositivi e ideato per indicare la presenza di manifestazioni ed eventi pubblici.
STORIA: La ricerca artistica di Loreno Sguanci è stata da sempre caratterizzata dalla forte esigenza di confrontarsi con la realtà percepita come corpo molteplice da indagare e conoscere, come luogo vitale dal quale ha origine ogni riflessione sia del singolo che della collettività. Questa idea di un rapporto dialettico tra spazio dell’io e spazio della comunità fa si che le opere realizzate da Loreno Sguanci per il tessuto urbano si configurino tutte come nodi stringenti tra elementi dinamici di varia natura ed anche i Poli/s/Pali possiedono questa connotazione, ovvero, sono l’evidente espressione di una concreta possibilità di dialogo e di incontro tra gli opposti, sono un richiamo al confronto, l’occasione per permettere al pensiero di muoversi tra la consapevolezza di una propria originaria identità e la riscoperta di una appartenenza ad una storia culturale e comunitaria più vasta. Per questo, pur non scaturendo direttamente dall’esperienza del 1975 “La città come spazio operativo”, i Poli/s/Pali partecipano intensamente della stessa tensione culturale che caratterizzò quell’iniziativa. Il gruppo plastico infatti, è ideato per essere trasportato ed installato secondo vari schemi compositivi all’interno di un tessuto urbano già caratterizzato da segni di spessore storico e naturale invariabili. I cinque elementi che costituiscono il gruppo hanno sommità cuspidate segnate da vivaci colori, la suggestione che provocano è quella di antichi obelischi, di totem pronti a sollecitare costantemente l’immaginario collettivo con il loro essere segno incisivo inteso come forte richiamo rivelatore di momenti di riflessione collettiva strutturati su inalterati ed inalterabili valori umani, culturali e civili. Il gruppo plastico è stato utilizzato per la prima volta in occasione dell’inaugurazione, dopo il restauro durato 14 anni, del teatro Rossini avvenuta nel 1980 in concomitanza con la prima edizione del Rossini Opera Festival. Innalzati nel cortile di Palazzo Toschi – Mosca i Poli/s/Pali avevano il compito di indicare il luogo in cui si dovevano tenere concerti e balletti moderni compresi nelle manifestazioni del Festival stesso. Nel tempo questa funzione di fantastico segnale araldico, di risposta nascente dalla città e per la città è stata più volte svolta dal gruppo dei Poli/s/Pali all’interno del nostro territorio e nel 1981 il Comune di Firenze chiese di avere in prestito il gruppo per poterlo esporre sia come imponente indicatore plastico che come espressione artistica autonoma animata da una propria vitale energia fantastica e contemplativa all’interno del Giardino delle Oblate. Dopo essere stati eretti per un lungo periodo davanti al complesso edilizio di via Nanterre contenente al suo interno il servizio dell’ASUR, la circoscrizione e la biblioteca di quartiere, i Poli/s/Pali sono ora collocati nel parco pubblico presente nella stessa via.
FUNZIONE DELL’OPERA: I Poli/s/Pali sono concepiti come elementi trasportabili e componibili secondo vari schemi all’interno del tessuto urbano ed hanno la funzione di indicare con la loro presenza manifestazioni pubbliche concepite come importanti momenti di verifica collettiva.
DESCRIZIONE: I Poli/s/Pali sono costituiti da 5 elementi plastici lignei variamente componibili. Questi elementi, rievocanti totem o antichi obelischi, sono rastremati verso l’alto e possiedono una forte quanto autorevole regalità. Il loro sviluppo verticale è scandito alla sommità da forme geometriche ripetute e concatenate la cui precisione formale viene evidenziata dalla presenza del colore steso per campiture piatte. Il giallo, il rosso, l’azzurro, il bianco e il nero che caratterizzano le singole strutture ne rafforzano l’idea di segnali e di indicatori di momenti significativi per la collettività.
COMPOSIZIONE: I 5 elementi che costituiscono il gruppo plastico sono in legno di abete e hanno un’altezza di 6 metri. I 5 elementi sono tra loro separati e indipendenti in quanto ognuno è sostenuto da una base quadrangolare in ferro che consente di variare la composizione e di renderli trasportabili sia all’interno del territorio di Pesaro che, su richiesta di altre amministrazioni comunali, al di fuori di esso in occasione di eventi di carattere pubblico.
BIOGRAFIA: Loreno Sguanci (Firenze 1931 – Pesaro 2011), frequenta l’Istituto d’Arte di Porta Romana diplomandosi al Magistero di scultura sotto la guida del Prof. Bruno Innocenti e nel 1952 si trasferisce a Pesaro per insegnare Discipline plastiche presso l’allora Istituto d’Arte F. Mengaroni. A Pesaro continua la sua ricerca artistica attraverso una serrata attività che muovendo da un’iniziale espressione figurativa lo porta ad indagare diversi materiali e nuovi linguaggi formali. Alla fine degli anni cinquanta i suoi rapporti con la critica e le gallerie si intensificano e nel 1962 è organizzata la prima mostra personale a Roma presso la galleria L’Obelisco di Gaspero Del Corso. Nel 1963 è invitato alla Biennale dei Giovani a Parigi e nel 1965 è presente alla Quadriennale d’Arte di Roma dove, nella sala personale a sua disposizione, espone una serie di opere di grandi dimensioni, in legno e in legno e rame, che si sviluppano secondo forme organicistiche. Invitato in numerosi paesi europei per rappresentare con le sue opere la scultura contemporanea italiana e chiamato a realizzare diversi monumenti nel nostro territorio, la sua ricerca prosegue nello studio di Pesaro e negli anni settanta affronta con rinnovato vigore lo studio del segno collegato alla creazione di sculture di grandi dimensioni che lo condurrà alla realizzazione di opere progettate per rapportarsi con la città come la “Grande Parete” in legno e colore di Volterra 73 e la “Porta a Mare” di Pesaro del 1976. Gli anni ottanta e novanta sono caratterizzati dalle grandi “Tavole dei segni” realizzate con un legno durissimo l’Azobè. Di questo periodo sono anche le sculture per lo spazio pubblico tra le quali possiamo ricordare i Poli-S-Pali del 1980 (i cui cinque elementi verticali alti sei metri, variamente modulati e colorati, possono essere trasportati e presentati seguendo diverse possibilità compositive a seconda degli eventi pubblici che si vogliono segnalare all’attenzione dei cittadini). Del 1992 sono invece il “Luogo della Memoria” e “Sorgente”, il “Luogo della memoria” è stato realizzato per uno spazio urbano riedificato nel quale già in precedenza esisteva una struttura industriale di vitale importanza economica e sociale per la città di Pesaro mentre “Sorgente” è una fontana piramidale che emerge dal terreno dello spazio urbano di Piazza I Maggio. Nel 1995 Loreno Sguanci viene invitato a Brufa per realizzare nel parco sculture, con un trave lamellare di rovere alto 10 metri, il “Grande segno”. Nel 2006 realizza, sempre per Pesaro; la monumentale “Falena” rossa e nera in acciaio corten e la “Fiocina di Nettuno” alta 11 metri per il Lido di Fano. Nel 2007 progetta ed esegue “l’angolo del poeta” per la piazza di Baia Flaminia a Pesaro. Impegnato nella ricerca artistica Loreno Sguanci ha saputo dare un importante contributo non solo alla cultura ma anche alla vita politica e sociale della città in cui ha scelto di lavorare svolgendo l’incarico di Assessore alla Cultura nel 1994, dando vita, assieme all’allora Sindaco Oriano Giovannelli, nel 1996, al Centro Arti Visive Pescheria di cui fu il primo Direttore e partecipando alla fondazione dell’Associazione Azobè onlus e al suo Centro di Sostegno alle Funzioni Educative Familiari “Baricentro”.
BIBLIOGRAFIA: Documenti, testi audio e testi scritti di proprietà dell’Associazione Archivio Loreno Sguanci.
“Arte italiana contemporanea” Ed. La Ginestra.
“Arte contemporanea in Italia” Ed. Presenza.
Enciclopedia universale “Seda” Milano.
Cronovideografie - Pesaro tra provincia e mondo 1945 – 1980 Ed. Franco Cosimo Panini.
“Loreno Sguanci Territorio, materia, segno 1964/1994” Ed. Fortuna Fano - “Sguanci sculture” Stampa Grapho 5.
scheda a cura della professoressa Mariastella Sguanci
Loreno Sguanci, Sorgente, 1992, Piazzale Primo Maggio

“Sorgente”
Pesaro, Piazza I° Maggio
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Loreno Sguanci
Datazione
1996
Dimensioni
H. 200 cm x L. 200 cm x 100 cm
Luogo di collocazione
Pesaro, Centro Storico,Piazza I° Maggio
Materiale
Granito (nero assoluto) e puntale in bronzo
Soggetto
La “sorgente” è una rielaborazione simbolica di presenze finalizzata a ristabilire un contatto con la storia del luogo ( area dell’antico monastero degli Agostiniani)
STORIA: L’opera “Sorgente” è l’espressione di una strategia progettuale fortemente motivata dal pensiero di tornare a vivere la città come luogo di un nuovo e possibile dialogo fra arte e spazio pubblico. Il gruppo “Verde e Ambiente Urbano” ( arch.tti S. Mastrangelo, C. Filippetti, A. Paianini, C. Tarca e ing. S. Bocconcelli) incaricato dall’Amministrazione Comunale per il progetto di riqualificazione del piazzale, coinvolse, fin dall’inizio, lo scultore Loreno Sguanci. Da tale scelta emerse un progetto unitario nel quale la scultura supera il concetto di semplice collocazione in uno spazio (spesso a posteriori e a fini decorativi) diventando parte integrante e guida del progetto. Non a caso Loreno Sguanci non si limita alla definizione progettuale dell’opera scultorea ma partecipa attivamente producendo immagini suggestive dello spazio pubblico di nuova realizzazione. Il progetto si basava su un’attenta lettura dello spazio e delle architetture che definivano la piazza. Il tema progettuale riguardava la creazione di un nuovo spazio pubblico attraverso un intervento sulle pavimentazioni , la salvaguardia della vegetazione esistente e l’introduzione di nuove alberature. Con il progetto si ottenne la parziale pedonalizzazione di uno spazio precedentemente adibito a rotatoria automobilistica . La piazza sorge sul sedime di un antico convento Agostiniano il cui ricordo torna alla memoria e si rinnova. La pavimentazione in cotto si solleva e si apre alla spinta della piramide in granito nero e bronzo che pare riemergere dal sottosuolo trasformandosi in fontana a simbolo della continuità nella storia della città. Riferendosi a questa scultura Enrico Crispolti scrive :”….un esempio minimale di grande civiltà dell’immagine in un contesto antropologico-ambientale di forte tradizione della forma ….. La presenza di Sguanci si rinnova…..lasciando segni di una consapevolezza acuta del proprio tempo, nel dialogo tuttavia, felicemente spontaneo, con lo spessore di una continuità storica che in quei luoghi ancora puoi percepire come realtà quotidiana.”
FUNZIONE DELL’OPERA: L’opera “Sorgente” esprime l’intento artistico di Loreno Sguanci, di “vivere nella società in modo più diretto e partecipativo” realizzando “segni” appartenenti alla vita contemporanea e alla collettività capaci di “rispondere all’esigenza del bello, della poesia e alla necessità di una nuova riflessione critica” sul presente. La fontana di piazza I° Maggio ripropone, rivisitandolo, il tema della presenza dell’acqua nello spazio urbano. L’acqua scaturisce dal sottosuolo proponendo il tema della rinascita e della continuità della vita.
DESCRIZIONE: La “Sorgente” di Loreno Sguanci è di granito nero con scanalature proporzionate al deflusso dell’acqua che scaturisce da un puntale in bronzo. La struttura emerge dal terreno sollevando i riquadri di cotto e portando in superficie l’acqua che, scorrendo lungo le pareti ridiscende in una apposita fenditura sotto il pavimento. Interno-esterno, profondità-superficie, vengono così collegati da un moto leggero, circolare che sgorga, affiora e rientra, un moto che possiede il ritmo ed il suono di una cascatella, che invita a sostare, a fermarsi per osservare, pensare, ricordare e intessere nuovi dialoghi.
COMPOSIZIONE: L’opera “Sorgente” è realizzata mediante l’assemblaggio di 4 lastre in granito nero scanalate, costituenti le quattro facce della piramide scolpite dall’artista per favorire un costante deflusso dell’acqua. Le lastre sono sostenute da una struttura muraria che contiene l’impianto di adduzione e raccolta dell’acqua in un ciclo continuo. L’acqua che scorre, si incunea in un taglio prodotto dal sollevamento della pavimentazione in mattoni per defluire in un pozzetto da cui una pompa la riporta in alto. L’apice della piramide è un puntale in bronzo con incisioni geometriche tipiche del linguaggio dell’artista, tra il puntale e le sottostanti lastre esiste una feritoia da cui scaturisce l’acqua.
BIOGRAFIA: Loreno Sguanci nasce a Firenze nel 1931, frequenta l’Istituto d’Arte di Porta Romana diplomandosi al Magistero di scultura sotto la guida del Prof. Bruno Innocenti e nel 1952 si trasferisce a Pesaro per insegnare Discipline plastiche presso l’allora Istituto d’Arte F. Mengaroni. A Pesaro continua la sua ricerca artistica attraverso una serrata attività che muovendo da un’iniziale espressione figurativa lo porta ad indagare diversi materiali e nuovi linguaggi formali. Alla fine degli anni cinquanta i suoi rapporti con la critica e le gallerie si intensificano e nel 1962 è organizzata la prima mostra personale a Roma presso la galleria L’Obelisco di Gaspero Del Corso. Nel 1963 è invitato alla Biennale dei Giovani a Parigi e nel 1965 è presente alla Quadriennale d’Arte di Roma dove, nella sala personale a sua disposizione, espone una serie di opere di grandi dimensioni, in legno e in legno e rame, che si sviluppano secondo forme organicistiche. Invitato in numerosi paesi europei per rappresentare con le sue opere la scultura contemporanea italiana e chiamato a realizzare diversi monumenti nel nostro territorio, la sua ricerca prosegue nello studio di Pesaro e negli anni settanta affronta con rinnovato vigore lo studio del segno collegato alla creazione di sculture di grandi dimensioni che lo condurrà alla realizzazione di opere progettate per rapportarsi con la città come la “Grande Parete” in legno e colore di Volterra 73 e la “Porta a Mare” di Pesaro del 1976. Gli anni ottanta e novanta sono caratterizzati dalle grandi “Tavole dei segni” realizzate con un legno durissimo l’Azobè. Di questo periodo sono anche le sculture per lo spazio pubblico tra le quali possiamo ricordare i Poli-S-Pali del 1980 (i cui cinque elementi verticali alti sei metri, variamente modulati e colorati, possono essere trasportati e presentati seguendo diverse possibilità compositive a secondo degli eventi pubblici che si vogliono segnalare all’attenzione dei cittadini). Del 1992 sono invece il “Luogo della Memoria” e “Sorgente”, il “Luogo della memoria” è stato realizzato per uno spazio urbano riedificato nel quale già in precedenza esisteva una struttura industriale di vitale importanza economica e sociale per la città di Pesaro mentre “Sorgente” è una fontana piramidale che emerge dal suolo dello spazio urbano di Piazza I° Maggio. Nel 1995 Loreno Sguanci viene invitato a Brufa per realizzare nel parco sculture, con un trave lamellare di rovere alto 10 metri, il “Grande segno”. Nel 2006 realizza, sempre per Pesaro; la monumentale “Falena” rossa e nera in acciaio corten e la “Fiocina di Nettuno” alta 11 metri per il Lido di Fano. Nel 2007 progetta ed esegue “l’angolo del poeta” per la piazza di Baia Flaminia a Pesaro. Impegnato nella ricerca artistica Loreno Sguanci ha saputo dare un importante contributo non solo alla cultura ma anche alla vita politica e sociale della città in cui ha scelto di lavorare svolgendo l’incarico di Assessore alla Cultura nel 1994, dando vita, assieme all’allora Sindaco Oriano Giovannelli, nel 1996, al Centro Arti Visive Pescheria di cui fu il primo Direttore e partecipando alla fondazione dell’Associazione Azobè onlus e al suo Centro di Sostegno alle Funzioni Educative Familiari “Baricentro”.
BIBLIOGRAFIA:
Documenti, testi audio e testi scritti di proprietà dell’Associazione Archivio Loreno Sguanci
scheda a cura degli Architetti Achille Paianini e Clara Tarca
Loreno Sguanci, Memoria, 1992 via dei Fonditori

“Il luogo della memoria”
Pesaro, esterno del Centro commerciale, in posizione decentrata rispetto al Piazzale e più vicina alle strutture abitative. (interventi di restauro sulle parti cromatiche ed interventi di ordinaria manutenzione realizzati nel 2019/2020)
Tipologia di manufatto
Scultura per uno spazio commerciale ed abitativo edificato nel luogo in cui sorgeva l’ex complesso industriale Montecatini (poi divenuto Montedison)
Autore
Loreno Sguanci
Datazione
1992
Dimensioni
H. 800cm x L. 4oo cm x 400 cm
Luogo di collocazione
Pesaro, Centro Storico,Piazza I° Maggio
Materiale
Ferro colorato rosso, vetri azzurri e gialli
Soggetto
Struttura piramidale in ferro chiusa alla sommità da lastre di vetro trasparenti azzurre e gialle. L’opera è aperta nella zona inferiore per consentire la visione e il contatto con il reperto di archeologia industriale posto su un basamento e collocato al centro della struttura
STORIA:”Il Luogo della memoria” era parte di un intervento articolato realizzato per uno spazio urbano riedificato con una diversa destinazione d’uso rispetto alla precedente, uno spazio che era stato caratterizzato per lungo tempo da una vivace attività produttiva e dalla presenza di un’ampia struttura industriale. Per questa area nel cuore della città che subiva una nuova definizione attraverso la costruzione di un ipermercato con esercizi commerciali e uffici e all’esterno strutture abitative, nella via coperta su cui tutt’ora si aprono i diversi esercizi commerciali, a terra era stato ideato e realizzato una decorazione pavimentale che, utilizzando piastrelle industriali di gres, si svolgeva secondo moduli geometrici ripetuti e sviluppati seguendo cadenze aritmiche. L’arredo prevedeva, accanto allo studio di panchine e fioriere, quest’ultime mai realizzate, anche un “luogo della memoria” che doveva essere in legno e cristallo per contenere una macchina dell’ex Montecatini. Questa struttura piramidale è stata modificata in metallo e vetro e collocata nella piazza esterna mentre la pavimentazione della via interna non è ora più visibile perchè alcuni anni fa, durante lavori di modifica dell’ipermercato, è stata coperta.
FUNZIONE DELL’OPERA:Segno simbolico monumentale con valenza di ricordo per una esperienza produttiva e professionale importante per la collettività.
DESCRIZIONE:Il “Luogo della memoria” comprendeva la struttura piramidale e, nella via coperta interna che tuttora collega i vari esercizi commerciali, una pavimentazione in gres con disegni geometrici ottenuti con piastrelle di uguale dimensione e di cromia rossa e nera su base bianco-avorio disposte secondo uno schema compositivo modulare aritmico. Attualmente la composizione della pavimentazione non è più visibile e dell’intera ideazione progettuale rimane, collocata all’esterno, soltanto la struttura piramidale. Questa è alta otto metri, ha base quadrata, è composta da quattro travi metalliche rosse che partendo dagli angoli alla base si uniscono all’apice cuspidato definendo la forma geometrica della struttura. La piramide è chiusa in alto da lastre di vetro trasparente azzurre e gialle che, alternate come cromie, sono contenute all’interno di cornici metalliche che si sviluppano orizzontalmente seguendo uno schema romboidale. Al di sotto di queste la struttura è aperta e fruibile ed ha al suo interno, collocato su un basamento rettangolare, rialzato da terra da un gradone, un reperto di archeologia industriale utilizzato nell’ex stabilimento. Interessante, a questo proposito, è quanto ebbe a scrivere Enrico Crispolti “…a Pesaro, Sguanci, ha realizzato nel Centro commerciale e abitativo Miralfiore la pavimentazione di una galleria interna utilizzando varietà cromatiche di piastrelle industriali per ordirvi un disegno di modularità geometrica, semplice ed efficace. Un intervento sommesso, da scoprire percorrendolo, e contestualmente ben integrato. All’esterno, nel medesimo insieme, ha immaginato inoltre una struttura plastica in ferro e vetro, colorata, piramidale, per accogliere ed evidenziare come monitorio reperto d’archeologia industriale ed urbana e insieme di memoria di lavoro operaio una macchina per fresare proveniente dallo stabilimento industriale Montecatini preesistente nella zona”.
COMPOSIZIONE: L’opera “Il luogo della memoria” è composta da una struttura metallica piramidale rossa con il vertice cuspidato la cui altezza totale è di otto metri. La parte superiore è chiusa da lastre di vetro trasparente azzurre e gialle, la parte restante dell’opera è aperta ed al suo centro, issato su un basamento rettangolare in cemento disposto su un gradone, è collocato un reperto di archeologia industriale.
BIOGRAFIA:Loreno Sguanci (Firenze 1931 – Pesaro 2011), frequenta l’Istituto d’Arte di Porta Romana diplomandosi al Magistero di scultura sotto la guida del Prof. Bruno Innocenti e nel 1952 si trasferisce a Pesaro per insegnare Discipline plastiche presso l’allora Istituto d’Arte F. Mengaroni. A Pesaro continua la sua ricerca artistica attraverso una serrata attività che muovendo da un’iniziale espressione figurativa lo porta ad indagare diversi materiali e nuovi linguaggi formali. Alla fine degli anni cinquanta i suoi rapporti con la critica e le gallerie si intensificano e nel 1962 è organizzata la prima mostra personale a Roma presso la galleria L’Obelisco di Gaspero Del Corso. Nel 1963 è invitato alla Biennale dei Giovani a Parigi e nel 1965 è presente alla Quadriennale d’Arte di Roma dove, nella sala personale a sua disposizione, espone una serie di opere di grandi dimensioni, in legno e in legno e rame, che si sviluppano secondo forme organicistiche. Invitato in numerosi paesi europei per rappresentare con le sue opere la scultura contemporanea italiana e chiamato a realizzare diversi monumenti nel nostro territorio, la sua ricerca prosegue nello studio di Pesaro e negli anni settanta affronta con rinnovato vigore lo studio del segno collegato alla creazione di sculture di grandi dimensioni che lo condurrà alla realizzazione di opere progettate per rapportarsi con la città come la “Grande Parete” in legno e colore di Volterra 73 e la “Porta a Mare” di Pesaro del 1976. Gli anni ottanta e novanta sono caratterizzati dalle grandi “Tavole dei segni” realizzate con un legno durissimo l’Azobè. Di questo periodo sono anche le sculture per lo spazio pubblico tra le quali possiamo ricordare i Poli-S-Pali del 1980 (i cui cinque elementi verticali alti sei metri, variamente modulati e colorati, possono essere trasportati e presentati seguendo diverse possibilità compositive a seconda degli eventi pubblici che si vogliono segnalare all’attenzione dei cittadini). Del 1992 sono invece il “Luogo della Memoria” e “Sorgente”, il “Luogo della memoria” è stato realizzato per uno spazio urbano riedificato nel quale già in precedenza esisteva una struttura industriale di vitale importanza economica e sociale per la città di Pesaro mentre “Sorgente” è una fontana piramidale che emerge dal terreno dello spazio urbano di Piazza I Maggio. Nel 1995 Loreno Sguanci viene invitato a Brufa per realizzare nel parco sculture, con un trave lamellare di rovere alto 10 metri, il “Grande segno”. Nel 2006 realizza, sempre per Pesaro; la monumentale “Falena” rossa e nera in acciaio corten e la “Fiocina di Nettuno” alta 11 metri per il Lido di Fano. Nel 2007 progetta ed esegue “l’angolo del poeta” per la piazza di Baia Flaminia a Pesaro. Impegnato nella ricerca artistica Loreno Sguanci ha saputo dare un importante contributo non solo alla cultura ma anche alla vita politica e sociale della città in cui ha scelto di lavorare svolgendo l’incarico di Assessore alla Cultura nel 1994, dando vita, assieme all’allora Sindaco Oriano Giovannelli, nel 1996, al Centro Arti Visive Pescheria di cui fu il primo Direttore e partecipando alla fondazione dell’Associazione Azobè onlus e al suo Centro di Sostegno alle Funzioni Educative Familiari “Baricentro”.
BIBLIOGRAFIA:
Documenti, testi audio e testi scritti di proprietà dell’Associazione Archivio Loreno Sguanci. “Arte italiana contemporanea” Ed. La Ginestra.
“Arte contemporanea in Italia” Ed. Presenza.
Enciclopedia universale “Seda” Milano. Cronovideografie - Pesaro tra provincia e mondo 1945 – 1980 Ed. Franco Cosimo Panini.
Loreno Sguanci Territorio, Materia, Segno Ed. Fortuna Fano
scheda a cura della professoressa Mariastella Sguanci
Loreno Sguanci, La Grande Croce, 2000, via Lubiana

“La Croce”
Pesaro, sagrato della Chiesa di S. Croce in via Lubiana
Tipologia di manufatto
Croce monumentale
Autore
Loreno Sguanci
Datazione
2000
Dimensioni
H 650 cm x L 200 cm
Luogo di collocazione
Pesaro, sagrato della Chiesa di S. Croce in via Lubiana
Materiale
Legno lamellare modulato con tagli geometrici e interventi di rosso, con all’estremità dei bracci due lamine di rame ed al centro dell’incrocio dei bracci due placche in bronzo
Soggetto
Croce, simbolo della cristianità, segno che rivela un luogo sacro
STORIA: “La Croce” si innalza sul sagrato della chiesa di Santa croce in via Lubiana a Pesaro, la committenza dell’opera è legata alla comunità Parrocchiale guidata dall’allora parroco Alberto Levrini, ed ha avuto tra i principali finanziatori il comitato “Città per Alessia”. “La Croce”, che come tutte le opere presenti nello spazio urbano è espressione di un proficuo e costante confronto con la collettività, è stata benedetta il 26 novembre del 2000. Il rito, avvenuto nell’anno del Giubileo e in occasione del 25esimo della fondazione della Parrocchia, è stato presieduto da Mons. Angelo Bagnasco, all’epoca Arcivescovo di Pesaro, ha visto la partecipazione di tutti i parrocchiani ed è stato concepito come evento aperto all’intera cittadinanza. Fin da subito, infatti, la presenza della Croce è divenuta occasione per intessere e realizzare importanti cicli di conferenze che, organizzate dalla comunità di Santa Croce in collaborazione con gli uffici Cultura e Beni Culturali dell’Arcidiocesi, hanno visto la partecipazione di teologi e studiosi di chiara fama.
FUNZIONE DELL’OPERA: Simbolo della cristianità e Segno della parrocchia di Santa Croce
DESCRIZIONE: Per quanto concerne la descrizione dell’opera si ritiene utile riportare quanto scritto dallo scultore Loreno Sguanci “Si innalza nel cielo ed abbraccia il mondo: il simbolo della sofferenza si trasforma in quello della salvezza. Credo che questo pensiero abbia sorretto il mio lavoro di scultore nella realizzazione della grande Croce di via Lubiana aiutandomi ad immaginare un movimento plastico che, attraverso l’incrocio della struttura verticale con quella orizzontale, rivelasse una partecipazione forte dei sentimenti; come se la presenza dell’Uomo si fosse impressa nelle fibre stesse del legno svelando poi, nelle superfici rosse, il segno del Sacrificio, del Riscatto e della Speranza. Al centro del movimento plastico sono inseriti, in armonia con i moduli compositivi, due grandi formelle bronzee. Le loro superfici hanno impresse sul fronte della chiesa l’immagine dei quattro Evangelisti e sul fronte urbano l’iscrizione “Christus heri, odie, semper” simbolo del Giubileo. I quattro Evangelisti sono testimonianza e voce della Chiesa, una voce che diffonde il messaggio della “Vittima del mondo” che vittoriosa ha riscattato l’umanità. Ai piedi della Croce, “Albero nobile”, sgorgherà l’acqua che “laverà la terra, il mare ed il cielo”. Per realizzare quest’opera non ho cambiato i modi del mio fare scultura, anzi questi si sono prestati ancora una volta per dar forma e voce ad una nuova e forte esperienza.”
COMPOSIZIONE: La Croce è alta sei metri e cinquanta centimetri, è in legno lamellare di abete ritmato, nella parte superiore, da pieni e vuoti che, realizzati a sgorbia, si alternano secondo uno schema geometrico imperniato sul modulo del triangolo e del quadrato. Alle estremità, isolate con catramina, sono collocate lamine di rame affinchè le intemperie non aggrediscano le parti tronche del legno e al centro dell’incrocio dei bracci sono inserite due placche di bronzo che recano, sul fronte, i simboli dei quattro evangelisti e sul retro il logo commemorativo del Giubileo. L’intera struttura, sostenuta alla base da quattro corte vele bronzee con decorazioni geometriche che la sollevano leggermente da terra per evitare depositi di acqua piovana, è eretta su un basamento rialzato dal piano del sagrato da tre gradoni. Dal basamento era stato progettato che sgorgasse dell’acqua simbolo di purificazione e di nuova vita. La Croce completa un articolato percorso simbolico – religioso che, ideato e realizzato dallo scultore, comprende all’interno della chiesa un’acquasantiera in marmo posta su un alto basamento e un fonte Battesimale in marmo e pietra bicolore del Furlo con la base in legno Azobè.
BIOGRAFIA: Loreno Sguanci (Firenze 1931 – Pesaro 2011), frequenta l’Istituto d’Arte di Porta Romana diplomandosi al Magistero di scultura sotto la guida del Prof. Bruno Innocenti e nel 1952 si trasferisce a Pesaro per insegnare Discipline plastiche presso l’allora Istituto d’Arte F. Mengaroni. A Pesaro continua la sua ricerca artistica attraverso una serrata attività che muovendo da un’iniziale espressione figurativa lo porta ad indagare diversi materiali e nuovi linguaggi formali. Alla fine degli anni cinquanta i suoi rapporti con la critica e le gallerie si intensificano e nel 1962 è organizzata la prima mostra personale a Roma presso la galleria L’Obelisco di Gaspero Del Corso. Nel 1963 è invitato alla Biennale dei Giovani a Parigi e nel 1965 è presente alla Quadriennale d’Arte di Roma dove, nella sala personale a sua disposizione, espone una serie di opere di grandi dimensioni, in legno e in legno e rame, che si sviluppano secondo forme organicistiche. Invitato in numerosi paesi europei per rappresentare con le sue opere la scultura contemporanea italiana e chiamato a realizzare diversi monumenti nel nostro territorio, la sua ricerca prosegue nello studio di Pesaro e negli anni settanta affronta con rinnovato vigore lo studio del segno collegato alla creazione di sculture di grandi dimensioni che lo condurrà alla realizzazione di opere progettate per rapportarsi con la città come la “Grande Parete” in legno e colore di Volterra 73 e la “Porta a Mare” di Pesaro del 1976. Gli anni ottanta e novanta sono caratterizzati dalle grandi “Tavole dei segni” realizzate con un legno durissimo l’Azobè. Di questo periodo sono anche le sculture per lo spazio pubblico tra le quali possiamo ricordare i Poli-S-Pali del 1980 (i cui cinque elementi verticali alti sei metri, variamente modulati e colorati, possono essere trasportati e presentati seguendo diverse possibilità compositive a seconda degli eventi pubblici che si vogliono segnalare all’attenzione dei cittadini). Del 1992 sono invece il “Luogo della Memoria” e “Sorgente”, il “Luogo della memoria” è stato realizzato per uno spazio urbano riedificato nel quale già in precedenza esisteva una struttura industriale di vitale importanza economica e sociale per la città di Pesaro mentre “Sorgente” è una fontana piramidale che emerge dal terreno dello spazio urbano di Piazza I Maggio. Nel 1995 Loreno Sguanci viene invitato a Brufa per realizzare nel parco sculture, con un trave lamellare di rovere alto 10 metri, il “Grande segno”. Nel 2006 realizza, sempre per Pesaro; la monumentale “Falena” rossa e nera in acciaio corten e la “Fiocina di Nettuno” alta 11 metri per il Lido di Fano. Nel 2007 progetta ed esegue “l’angolo del poeta” per la piazza di Baia Flaminia a Pesaro. Impegnato nella ricerca artistica Loreno Sguanci ha saputo dare un importante contributo non solo alla cultura ma anche alla vita politica e sociale della città in cui ha scelto di lavorare svolgendo l’incarico di Assessore alla Cultura nel 1994, dando vita, assieme all’allora Sindaco Oriano Giovannelli, nel 1996, al Centro Arti Visive Pescheria di cui fu il primo Direttore e partecipando alla fondazione dell’Associazione Azobè onlus e al suo Centro di Sostegno alle Funzioni Educative Familiari “Baricentro”.
BIBLIOGRAFIA:
Documenti, articoli, testi audio e testi scritti di proprietà dell’Associazione Archivio Loreno Sguanci.
“Arte italiana contemporanea” Ed. La Ginestra.
“Arte contemporanea in Italia” Ed. Presenza.
Enciclopedia universale “Seda” Milano.
Cronovideografie - Pesaro tra provincia e mondo 1945 – 1980 Ed. Franco Cosimo Panini.
scheda a cura della professoressa Mariastella Sguanci
Loreno Sguanci, Falena, 2006, via Marino Mondaini

“Phalaina”
Pesaro, svincolo viario Santa Maria delle Fabrecce
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio urbano
Autore
Loreno Sguanci
Datazione
2004
Dimensioni
L. 7 m H. 3,70 m
Luogo di collocazione
Svincolo Santa Maria delle Fabbrecce
Materiale
Acciaio cor-ten smaltato rosso minio e antracitre scuro
Soggetto
Struttura plastica metallica composta da due quarti di cerchio smaltati rispettivamente rosso minio e antracite scuro, separati al centro da un breve intervallo di spazio occupato a terra da due lingue di acciaio triangolari, ad altezza decrescente, che si proiettano verso due opposte direzioni. L’opera è coronata da un moto irregolare a raggera composto da forme triangolari ora più allungate ora più smussate.
STORIA:La Phalaina, o Falena, è stata realizzata nel 2004 ed esposta, nello stesso anno, nel cortile di Palazzo Gradari a Pesaro in occasione della mostra personale dello scultore. Al termine dell’esposizione del 2006 è stata acquisita dal Comune di Pesaro e collocata definitivamente nello svincolo viario di Santa Maria delle Fabrecce. La presentazione ufficiale dell’opera alla città è avvenuta il 18 ottobre 2006 presso la sala del Consiglio Comunale alla presenza dello scultore Loreno Sguanci e con gli interventi dell’allora Sindaco di Pesaro Luca Ceriscioli e della giornalista e critica Ivana Baldassarri che ha proposto una lettura della “Phalaina” a cui è seguita la proiezione del filmato sull’installazione dell’opera e un dibattito per meglio comprendere e approfondire gli aspetti innovativi dell’operazione artistico-culturale. Come ha avuto modo di affermare lo stesso scultore la Phalaina è “segno dello sviluppo di una città che si trasforma di volta in volta, espande i suoi confini e modifica la periferia in un nuovo centro”. Questo è anche il senso che l’Amministrazione ha voluto dare all’operazione e alla collocazione dell’opera che con il suo moto dinamico arricchisce uno spazio, come quello di uno svincolo viario, che possiede l’unica inalterabile funzione di divisione delle corsie e che quindi risulta di per se statico e anonimo rendendolo non solo luogo di transito ma di emozione. Per questi specifici caratteri l’intera iniziativa è riconducibile all’interno della più vasta manifestazione che ha avuto inizio nel 1975 “la città come spazio operativo” che proponeva la realizzazione di opere plastiche nel e per lo spazio urbano, con il coinvolgimento del Comune, degli scultori, dei cittadini e degli sponsor.
FUNZIONE DELL’OPERA: La “Phalaina” costituisce una presenza “colorata, forte e leggera” in un quartiere che, caratterizzato da un veloce sviluppo abitativo, possiede un’evidente importanza per la viabilità in entrata e in uscita dalla città. Come ha affermato lo stesso Loreno Sguanci la “Phalaina è Segno per “un quartiere che chiede di essere riconosciuto all’interno del tessuto urbano nella sua nuova forma e nella sua identità”. L’opera che rientra pienamente all’interno del percorso artistico-culturale iniziato nel 1975, è dunque una sorta di segno identitario ed al tempo stesso un’immagine accogliente, un elemento familiare, che rende il luogo riconoscibile e denso di emozioni e che per questo può essere vissuto nell’immaginario collettivo, ed è lo stesso scultore a suggerire l’idea della “Falena”, intesa anche come una sorta di “stella-farfalla che guida il viandante con il rosso e il nero delle sue ali”.
DESCRIZIONE: La “Phalaina” è realizzata in acciaio Cor-ten, è alta 3 metri e orizzontalmente si espande per circa 7 metri. Le superfici, smaltate per campiture piatte, sono rispettivamente rosso minio, a indicare la presenza, il pieno, e antracite scuro per indicare l’assenza, il vuoto. La forma semicircolare è separata al centro e composta da due parti coronate da elementi triangolari di diversa altezza che, seguendo uno sviluppo aritmico, sono disposti a raggera. La ”Phalaina”, come ha affermato lo stesso scultore, presenta un corpo “costituito da due elementi che formano idealmente due ali di farfalla, ma possono essere interpretati anche come spicchi di sole, o comunque due presenze simili ma non uguali, unite nella diversità”. Lo scatto cromatico delle due parti e lo sviluppo degli elementi triangolari che lo coronano conferiscono all’opera un costante dinamismo pulsante che si espande nello spazio andando ad instaurare con la sua presenza un dialogo formale che ne interrompe l’unicità dell’uso. In questo senso la “Phalaina” non è solo la memoria di una farfalla notturna ma, come ricorda il greco antico, anche un bagliore, un moto dinamico, un bagliore e un moto che ampliano gli spazi della vita e della coscienza arricchendoli di antichi e nuovi pensieri.
COMPOSIZIONE: L’opera in acciaio Cor-ten è collocata su un ampio basamento rettangolare. Presenta in basso al centro un elemento triangolare a sviluppo orizzontale smaltato ai lati di rosso e sulla faccia superiore di antracite scuro. Il corpo semicircolare della “Phalaina” è diviso in due parti, una rossa e l’altra antracite, coronate in alto da una raggera costituita da forme triangolari con movimento ascendente aritmico.
BIOGRAFIA: Loreno Sguanci (Firenze 1931 – Pesaro 2011), frequenta l’Istituto d’Arte di Porta Romana diplomandosi al Magistero di scultura sotto la guida del Prof. Bruno Innocenti e nel 1952 si trasferisce a Pesaro per insegnare Discipline plastiche presso l’allora Istituto d’Arte F. Mengaroni. A Pesaro continua la sua ricerca artistica attraverso una serrata attività che muovendo da un’iniziale espressione figurativa lo porta ad indagare diversi materiali e nuovi linguaggi formali. Alla fine degli anni cinquanta i suoi rapporti con la critica e le gallerie si intensificano e nel 1962 è organizzata la prima mostra personale a Roma presso la galleria L’Obelisco di Gaspero Del Corso. Nel 1963 è invitato alla Biennale dei Giovani a Parigi e nel 1965 è presente alla Quadriennale d’Arte di Roma dove, nella sala personale a sua disposizione, espone una serie di opere di grandi dimensioni, in legno e in legno e rame, che si sviluppano secondo forme organicistiche. Invitato in numerosi paesi europei per rappresentare con le sue opere la scultura contemporanea italiana e chiamato a realizzare diversi monumenti nel nostro territorio, la sua ricerca prosegue nello studio di Pesaro e negli anni settanta affronta con rinnovato vigore lo studio del segno collegato alla creazione di sculture di grandi dimensioni che lo condurrà alla realizzazione di opere progettate per rapportarsi con la città come la “Grande Parete” in legno e colore di Volterra 73 e la “Porta a Mare” di Pesaro del 1976. Gli anni ottanta e novanta sono caratterizzati dalle grandi “Tavole dei segni” realizzate con un legno durissimo l’Azobè. Di questo periodo sono anche le sculture per lo spazio pubblico tra le quali possiamo ricordare i Poli-S-Pali del 1980 (i cui cinque elementi verticali alti sei metri, variamente modulati e colorati, possono essere trasportati e presentati seguendo diverse possibilità compositive a seconda degli eventi pubblici che si vogliono segnalare all’attenzione dei cittadini). Del 1992 sono invece il “Luogo della Memoria” e “Sorgente”, il “Luogo della memoria” è stato realizzato per uno spazio urbano riedificato nel quale già in precedenza esisteva una struttura industriale di vitale importanza economica e sociale per la città di Pesaro mentre “Sorgente” è una fontana piramidale che emerge dal terreno dello spazio urbano di Piazza I Maggio. Nel 1995 Loreno Sguanci viene invitato a Brufa per realizzare nel parco sculture, con un trave lamellare di rovere alto 10 metri, il “Grande segno”. Nel 2006 realizza, sempre per Pesaro; la monumentale “Falena” rossa e nera in acciaio corten e la “Fiocina di Nettuno” alta 11 metri per il Lido di Fano. Nel 2007 progetta ed esegue “l’angolo del poeta” per la piazza di Baia Flaminia a Pesaro. Impegnato nella ricerca artistica Loreno Sguanci ha saputo dare un importante contributo non solo alla cultura ma anche alla vita politica e sociale della città in cui ha scelto di lavorare svolgendo l’incarico di Assessore alla Cultura nel 1994, dando vita, assieme all’allora Sindaco Oriano Giovannelli, nel 1996, al Centro Arti Visive Pescheria di cui fu il primo Direttore e partecipando alla fondazione dell’Associazione Azobè onlus e al suo Centro di Sostegno alle Funzioni Educative Familiari “Baricentro”.
BIBLIOGRAFIA:
Documenti, testi audio e testi scritti di proprietà dell’Associazione Archivio Loreno Sguanci. “Arte italiana contemporanea” Ed. La Ginestra. “Arte contemporanea in Italia” Ed. Presenza. Enciclopedia universale “Seda” Milano, www.cultura.marche.it “Pesaro splende la Phalaina del Maestro Sguanci, Marche domani 22 novembre 2006, Il Messaggero Pesaro 18 ottobre 2006, Il Resto del Carlino Pesaro 18 ottobre 2006, Corriere Adriatico 6 novembre 2006, Lo specchio novembre 2006.
scheda a cura della professoressa Mariastella Sguanci
Loreno Sguanci, L’Angolo del Poeta, 2007, Piazza Europa

L’Angolo del Poeta
Pesaro, Piazza Europa
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio urbano
Autore
Loreno Sguanci
Datazione
2006
Dimensioni
Basamento: 180 cm x 180 cm x 85 cm
Struttura plastica: L 80 cm, H 6oo cm
Luogo di collocazione
Piazza Europa, Baia Flaminia
Materiale
Basamento in cemento rivestito in pietra, struttura verticale in acciaio Cor-ten smaltato in rosso minio e antracite scuro
Soggetto
Struttura plastica in acciaio smaltato con sviluppo verticale rettilineo, concluso, in alto, da una linea curva uncinata, orientata verso il mare e segmentata con forme ad onde ripetute e crescenti verso la sommità. Alla base è riportata la poesia “L’Angolo del poeta” scritta per l’occasione da Gianni D’Elia.
STORIA:L’opera, realizzata per la Piazza di quello che al tempo era il nuovo quartiere di Baia Flaminia, è stata inaugurata il 28 giugno 2007. Alla manifestazione, che ha visto la partecipazione di numerosi cittadini, hanno portato il loro contributo, con interventi e approfondimenti sul significato e la funzione della scultura nel contesto urbano, il Presidente della prima circoscrizione, che in quegli anni era Maurizio Sebastiani, l’allora Sindaco Luca Ceriscioli, lo sculture Loreno Sguanci e il poeta Gianni D’Elia. La committenza dell’opera, nata dalla richiesta della Prima Circoscrizione, è stata svolta in compartecipazione con l’Assessorato alla Cultura e ai Lavori Pubblici, a dimostrazione dell’interesse da parte dell’Amministrazione ad incrementare sia lo sviluppo urbano che la qualità della vita dei suoi cittadini, ed è stata sponsorizzata dall’imprenditore Gabriele Laghi della ditta Klein Sistemi che, condividendo fin dall’inizio gli intenti e il valore dell’iniziativa, col suo contributo ha coperto i costi dei materiali utilizzati per la sua realizzazione. “L’Angolo del Poeta”, creato per essere inserito in un ampio spazio aperto, luogo di molteplici incontri e relazioni, ha dunque avuto origine da una fattiva collaborazione tra soggetti che, diversi per specificità operative, avevano il medesimo intento di contribuire alla qualificazione e caratterizzazione del luogo ampliandone la sua funzionalità e fruibilità. L’opera, infatti, arricchisce di potenzialità creative e immaginative lo spazio all’interno del quale si erge trasformandolo in un ambito del vivere che trova un suo naturale inserimento nel tessuto della città della quale ne evidenzia, al contempo, sia la crescita urbana che il suo sviluppo socio- culturale. Anche per questi motivi possiamo quindi affermare che, sebbene realizzata diversi decenni dopo, l’opera installata in Piazza Europa rientra a pieno titolo all’interno dell’iniziativa ideata e promossa nel 1975, “La città come spazio operativo”, che proponeva la realizzazione di opere plastiche nel e per lo spazio urbano attraverso un’operazione artistico culturale che nel suo complesso, fin dall’inizio, coinvolse il Comune, gli scultori, i cittadini, le Circoscrizioni e gli sponsor e che vide la realizzazione di numerosi e importanti incontri e dibattiti pubblici. Sottolineiamo infine, sull’alto basamento dell’opera plastica “L’Angolo del Poeta”, la presenza della poesia dal titolo omonimo scritta dal poeta Gianni D’Elia che rafforza l’idea di una simbiosi sinergica tra espressioni artistiche appartenenti a forme diverse ma tese ad affrontare lo stesso elemento tematico ovvero la realizzazione di un “segno” capace di instaurare un dialogo sincero ed aperto con l’esistente, un dialogo che ci richiama, che ci induce al confronto e che nutre in modo sostanziale i nostri pensieri e i nostri sentimenti.
FUNZIONE DELL’OPERA:”L’Angolo del Poeta”, volutamente decentrato, è collocato verso il lato più corto di piazza Europa in prossimità della Biblioteca Comunale. La forma e lo sviluppo verticale dell’opera assieme alla sua bicromia nero-rosso, come affermato dall’allora Presidente di Circoscrizione Maurizio Sebastiani, sembrano evocare “simbolicamente l’idea della conoscenza”, infatti la struttura plastica si interfaccia con l’architettura a sviluppo verticale della biblioteca e segna, con la sua svettante presenza, lo spazio pubblico stabilendo con esso le coordinate di una nuova dimensione corale del vivere, una dimensione capace di incrementare i momenti di incontro personali e collettivi accogliendo ed ospitando ( e questa era l’idea originaria) vari generi di concorsi ed altre iniziative per le quali era previsto anche il coinvolgimento delle scuole. La presenza della scultura all’interno dello spazio pubblico richiama, inoltre, l’immagine delle piazze antiche che accoglievano opere monumentali quali simboli delle civiltà che le avevano create e segni da custodire e tramandare per preservare le proprie radici, ma anche per ripartire a dar corpo ad un sentire strettamente legato alla conoscenza compartecipata del presente, alla memoria collettiva del passato ed alla capacità condivisa di immaginare il futuro.
DESCRIZIONE:L’opera è alta 6 metri, poggia su una base a gradoni che, per le dimensioni e la pietra che lo riveste, rievoca un trono. Sopra il basamento si erge una struttura plastica in acciaio cor-ten smaltata in antracite scuro e con la parte terminale, uncinata e dentellata verso il lato mare, smaltata in rosso minio il cui innesto sul corpo portante è sottolineato dall’incontro diagonale delle due campiture cromatiche. Il nero e il rosso, come affermato dallo stesso scultore, ricorrono spesso nelle sue opere “il rosso indica la presenza dell’idea che tende alla luce e il nero simboleggia l’assenza”. La forma acquista dinamicità verso l’alto richiamando con il suo moto l’idea di una fiamma, di un faro fantastico o di una lancia - fiocina. Alla base dell’”Angolo del Poeta” è incisa su una piccola lastra metallica la poesia dal titolo omonimo scritta dal poeta Gianni D’Elia.
COMPOSIZIONE: L’opera in acciaio cor-ten è collocata su un alto basamento rettangolare a gradoni in cemento rivestito in pietra. Il corpo metallico è svettante e verso la parte culminante si innesta, ancorata con viti invisibili da terra, un’imponente forma uncinata, curvilinea e frastagliata verso il lato mare. Le due parti sono rispettivamente smaltate di antracite scuro, nel corpo, e di rosso minio nella zona alta. Alla base è incisa è presente la poesia dal titolo “L’Angolo del poeta”.
BIOGRAFIA: Loreno Sguanci (Firenze 1931 – Pesaro 2011), frequenta l’Istituto d’Arte di Porta Romana diplomandosi al Magistero di scultura sotto la guida del Prof. Bruno Innocenti e nel 1952 si trasferisce a Pesaro per insegnare Discipline plastiche presso l’allora Istituto d’Arte F. Mengaroni. A Pesaro continua la sua ricerca artistica attraverso una serrata attività che muovendo da un’iniziale espressione figurativa lo porta ad indagare diversi materiali e nuovi linguaggi formali. Alla fine degli anni cinquanta i suoi rapporti con la critica e le gallerie si intensificano e nel 1962 è organizzata la prima mostra personale a Roma presso la galleria L’Obelisco di Gaspero Del Corso. Nel 1963 è invitato alla Biennale dei Giovani a Parigi e nel 1965 è presente alla Quadriennale d’Arte di Roma dove, nella sala personale a sua disposizione, espone una serie di opere di grandi dimensioni, in legno e in legno e rame, che si sviluppano secondo forme organicistiche. Invitato in numerosi paesi europei per rappresentare con le sue opere la scultura contemporanea italiana e chiamato a realizzare diversi monumenti nel nostro territorio, la sua ricerca prosegue nello studio di Pesaro e negli anni settanta affronta con rinnovato vigore lo studio del segno collegato alla creazione di sculture di grandi dimensioni che lo condurrà alla realizzazione di opere progettate per rapportarsi con la città come la “Grande Parete” in legno e colore di Volterra 73 e la “Porta a Mare” di Pesaro del 1976. Gli anni ottanta e novanta sono caratterizzati dalle grandi “Tavole dei segni” realizzate con un legno durissimo l’Azobè. Di questo periodo sono anche le sculture per lo spazio pubblico tra le quali possiamo ricordare i Poli-S-Pali del 1980 (i cui cinque elementi verticali alti sei metri, variamente modulati e colorati, possono essere trasportati e presentati seguendo diverse possibilità compositive a seconda degli eventi pubblici che si vogliono segnalare all’attenzione dei cittadini). Del 1992 sono invece il “Luogo della Memoria” e “Sorgente”, il “Luogo della memoria” è stato realizzato per uno spazio urbano riedificato nel quale già in precedenza esisteva una struttura industriale di vitale importanza economica e sociale per la città di Pesaro mentre “Sorgente” è una fontana piramidale che emerge dal terreno dello spazio urbano di Piazza I Maggio. Nel 1995 Loreno Sguanci viene invitato a Brufa per realizzare nel parco sculture, con un trave lamellare di rovere alto 10 metri, il “Grande segno”. Nel 2006 realizza, sempre per Pesaro; la monumentale “Falena” rossa e nera in acciaio corten e la “Fiocina di Nettuno” alta 11 metri per il Lido di Fano. Nel 2007 progetta ed esegue “l’angolo del poeta” per la piazza di Baia Flaminia a Pesaro. Impegnato nella ricerca artistica Loreno Sguanci ha saputo dare un importante contributo non solo alla cultura ma anche alla vita politica e sociale della città in cui ha scelto di lavorare svolgendo l’incarico di Assessore alla Cultura nel 1994, dando vita, assieme all’allora Sindaco Oriano Giovannelli, nel 1996, al Centro Arti Visive Pescheria di cui fu il primo Direttore e partecipando alla fondazione dell’Associazione Azobè onlus e al suo Centro di Sostegno alle Funzioni Educative Familiari “Baricentro”.
BIBLIOGRAFIA:
Documenti, testi audio e testi scritti di proprietà dell’Associazione Archivio Loreno Sguanci. “Arte italiana contemporanea” Ed. La Ginestra. “Arte contemporanea in Italia” Ed. Presenza. Enciclopedia universale “Seda” Milano, Lo Specchio Luglio/Agosto 2007, il Resto del Carlino 28 giugno 2007, Corriere Adriatico 28 giugno 2007, Il Messaggero 28 giugno 2007, Il Messaggero 29 giugno 2007.
scheda a cura della professoressa Mariastella Sguanci
Mauro Staccioli, Omaggio all’Alba ( titolo originale) poi divenuto Segno Aperto, 2002, rotonda d’ingresso all’Autostrada A14 Pesaro Urbino

“ Omaggio all’alba” 1997 “Accoglienza” 2002
Pesaro
Tipologia di manufatto
Scultura per spazio espositivo semiaperto Scultura per spazio pubblico aperto
Autore
Mauro Staccioli
Datazione
1997-2002
Dimensioni
3400x850x70 cm
3500x800x70 cm
Luogo di collocazione
Pesaro, Pescheria Centro Arti Visive Pesaro, Rondò Strada del Montefeltro
Materiale
Acciaio corten
Soggetto
Arco a sezione triangolare
STORIA: L’Arco, il Grande Arco, Arco dell’Alba e Grande curvatura capovolta, sono alcuni dei nomi che vengono attribuiti dalla stampa e dalla critica accreditata alla scultura Omaggio all’Alba realizzata da Mauro Staccioli per la personale a lui dedicata a Pesaro nel 1997.
Quest’opera è parte di un progetto più grande e coraggioso, voluto da Loreno Sguanci, direttore del Centro per le Arti Visive, e dal sindaco del Comune di Pesaro Oriano Giovannelli. La mostra curata da Lea Vergine e Hugh M. Davies, documentata nel catalogo bilingue edito da Charta, è un progetto che ha pervaso gli spazi urbani della città storica costringendo “[…] i concittadini gelosi delle loro abitudini, ad essere invasi da traumi e contraddizioni che sollecitano la curiosità di chi vive tra la casa e l'ipermercato, per vedere e toccare i mostri di ferro che rivelano come l'arte contemporanea non è un linguaggio premasticato, perbenista, calato in un mondo imperturbabile, ma l'arte è rinnovamento, cambiamento spesso contraddizione a volte è preveggenza […]” (Dichiarazione del grafico Massimo Dolcini riportata in articolo di quotidiano del 20 giugno 1997) .
La composizione di opere ideata dall’artista toscano genera un percorso che inizia proprio dal grande arco in acciaio corten Omaggio all’Alba, costruito dallo scultore nell'ampio loggiato della Pescheria (Sede del Centro Arti Visive) , e prosegue nei locali adiacenti esterni ed interni di cortiletto e casa del ghiaccio dove è allestita una sezione documentaria. Esternamente dopo l’arco si snoda, lungo il Corso XI Settembre fino a Piazza del Popolo, una serie di grandi dimensioni rispettivamente di triangoli e cerchi in ferro e cemento, che indagano il rapporto fra lo spazio pubblico e la cittadinanza, costruendo un “[...] Percorso artistico [...] dagli intenti polemici e provocatori [...] tesi a manifestare il disagio rispetto all'ambiente urbano e sociale degli anni della contestazione fino all'acquisizione di un rapporto più equilibrato con lo spazio in cui la perentorietà del segno in esso inserito serve [...] ad esaltarlo e a farlo scoprire con occhi nuovi [...] ” (Fax del 26 aprile 1997 da Fabio Cavallucci, a Mauro Staccioli, Loreno Sguanci e Alberto Barbaro. Bozza di comunicato stampa). Poiché come afferma Lea Vergine “Le sculture di Staccioli possono dare un brivido d'inquietudine; ma le sculture che non inquietano sono pietre cadute per strada”. Ci si troverà a guardare il paesaggio di una città nota bloccato da forme geometriche che coprono parte di facciate di chiese e palazzi, rese importanti perché non più visibili comodamente, ma solo attraverso filtri che ne rivelano nuovi significati.
Di questo grande evento culturale, artistico e di rilevante sentimento popolare, a noi resta il ricordo e parte della scultura Omaggio all’Alba colei che “manipola l’ambiente in virtù di un superiore afflato dell’uomo‐artista” e ci mostra come “La natura non si imita ma si costruisce”. Un intervento che individua un punto rilevante per la carriera dello scultore, una soluzione formale inedita, che va oltre il segno che cerca il precario equilibrio e disequilibrio indagando nelle traiettorie a gondola degli anni ‘80; come quella del museo di San Diego, della rotonda alla Besana di Milano, Seul e Prato. L’Arco di Pesaro si rovescia, da forma alla simmetria nella sala principale del Centro Arti Visive, segno che tracciata la determinata e raffinata traiettoria di curva nell’ambiente chiuso, rivelandosi nel suo colore rosso ossido di ferro a sezione vuota, che ha origine e si chiude sul piano d’appoggio, trasmettendo leggerezza dagli esili punti di appoggio ed al contempo grandezza del gigante. Le dimensioni erano di 34 m in larghezza e 8,5 m in altezza.
La lingua di acciaio, rimarrà nella sala della Pescheria oltre il 28 settembre 1997 (Sarà smontata dal mese di maggio 1998 come indicato nella lettera inviata da Mauro Staccioli a Lorenzo Rossi Assessore ai lavori pubblici e Alberto Miniucci Assessorato alla cultura. Prot. N° 4606/585.) termine della mostra, e già prima dell'inaugurazione del 29 giugno dopo l’elaborazione di numerosi schizzi di studio che inizialmente ipotizzavano l’inserimento di cerchi o triangoli, Staccioli è operativo per la sua concreta messa in opera. Sceglie di collocare la struttura parallelamente allo sviluppo longitudinale della sala, e in posizione mediana, affinché attraversi lo spazio dall'ingresso alla parete di fondo poggiando sul pavimento e curvandosi fino all'altezza delle catene delle travi lignee del soffitto. L’opera fa vivere lo spettatore in un ambiente contratto, provocando una percezione d’instabilità, che si rivela nell’atto contemplativo e nel rito del muoversi, fra il monumentale segno metallico, le pareti chiuse ed il loggiato aperto; soglia verso lo spazio pubblico antistante su cui si possono scorgere gli altri elementi che proseguono la mostra pervadendo la città. L’intervento è stato realizzato con il contributo del Comune, il Gruppo Febal e fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro.
Al termine dell’esposizione, Omaggio all’alba viene donata dall’autore alla città, ed accolta nel consiglio comunale del 16 luglio 1998 5 , prevedendo secondo desiderio di Staccioli la sua ricollocazione in luogo aperto presso Baia Flaminia, nella località ex Campo di Marte, punto scelto in seguito ad un sopralluogo svolto in situ dall’autore. Questo per liberare l’opera in uno spazio di forte suggestione paesaggistica, consonante alla sua morfologia e nome, come visibile dal collage allegato (e presente in archivio) alla lettera che l’artista invia al vicesindaco Lorenzo Rossi e al responsabile ufficio cultura Alberto Miniucchi del Comune di Pesaro. Il luogo viene scelto “[...] Allo scopo di rafforzare il senso del segno e del suo rapporto con l'ambiente, e la spazialità naturale, cosmica, del luogo ‐ l'alba, il giorno, la notte, il tempo [...]”.
Il collage esplicita il progetto e il pensiero di posizionare la scultura, accresciuta di alcuni moduli, in prossimità della linea di costa, oltre il limite demaniale e in corrispondenza dell'asse mediano del sorgere del sole. Rispetto il sito immaginato Staccioli ritiene “[...] opportuno liberare l'area circostante, il prato antistante la spiaggia, da tutti gli arredi urbani ora presenti, per una fascia frontale all'arco di una larghezza almeno doppia rispetto a quella dell'arco stesso. Frontale all’arco, corrispondente all'asse mediano del sorgere del sole, a circa trenta metri di distanza, dovrà essere piantato un albero (quercia?) in modo da favorire il formarsi di un luogo di incontro e un punto di osservazione e percezione visiva del luogo. [...]" (Lettera che Staccioli invia a Lorenzo Rossi Vicesindaco e Alberto Miniucci responsabile ufficio cultura Comune Pesaro.) . La scultura in acciaio corten garantirebbe l’inalterabilità al vento, al sisma, alle alterazioni termiche e di ambiente marino. Si prevede che le operazioni di smontaggio e ricostruzione siano affidate dalla ditta di M. Pennacchioni, per conto di
Staccioli, con la collaborazione di Alfio Vico, di Polverigi (AN), ditta che ha eseguito il lavoro di costruzione e di installazione all’interno della Pescheria.
La proposta per il nuovo sito avrà parere negativo da parte dell’Ente Parco San Bartolo e della
commissione edilizia comunale, per questo si conserverà il corpo della scultura fino al 2001 anno
in cui sarà individuato un nuovo punto della città per il suo inserimento, ovvero il rondò di
collegamento viario fra il casello autostradale della A14 e l'ex SS 423, ultimato nel maggio 2002.
In relazione a questo il 19 luglio dello stesso anno il Sindaco Oriano Giovannelli e Mauro Staccioli si troveranno per condividere con entusiasmo la nuova idea, e vista la profonda differenza con il sito precedentemente pensato l’artista proporrà di realizzare un’opera diversa molto più precisa per il senso che assumerà sullo spazio urbano. Quindi invece di ricostruire Omaggio all’alba si utilizzeranno le sue parti per comporre un nuovo arco: “[...] Poiché il sito che avete stabilito per il ripristino è un “rondò”, un’area ad alta densità di traffico, punto di passaggio tra la comunità e l’esterno, ritengo, coerentemente in linea con il mio lavoro, di ribaltare il senso del segno: da segno per un luogo di meditazione davanti al mare, a segno di “accoglienza”, una sorta di saluto tangibile, fisicamente percepibile da chi arriva e da chi va [...]” (Fax 23 luglio 2002 da Studio Staccioli a arch. Veris Mosconi Comune di Pesaro).
A Staccioli sarà affidato l’incarico professionale di consulenza artistica e tecnica per le modifiche necessarie alla struttura, la scelta di posizione e orientamento del segno metallico sul rondò (Delibera di giunta consiglio comunale n. 1564 del 20 agosto 2002. Oggetto collocazione di una scultura al centro della rotatoria e conferimento incarico all’artista Mauro Staccioli per lo svolgimento dell’attività di consulenza nella reinterpretazione dell’opera “Omaggio all'alba”).
Il nuovo progetto infatti prevede un rovesciamento del corpo e un cambiamento della forma; in
quanto le dimensioni saranno calibrate rispetto la precedente, anche con l’aggiunta di conci, la
variazione del punto d’appoggio su unico e baricentrico ancoraggio a terra, e quindi un nuovo
significato. Permarrà la simmetria. In alcuni appunti di Staccioli scritti a matita si legge:
“Riprogettazione e riutilizzo del materiale dell'Omaggio all’alba” segno di accoglienza/benvenuto immagine pubblica dell’Amministrazione e dell’Artista” ‐ multiplo 50 esemplari/riprogettazione”.
Si individuano dall’archivio due disegni significativi nell’elaborazione delle modifiche, un fax
indirizzato a Paolo Biondi di Pesaro, del 02 aprile 2002, in cui Staccioli indaga ancora la forma di arco verso il basso, altezza 958 cm e larghezza 3730 cm, ed il disegno definitivo del 26 giugno 2002 verso l’alto, in cui conferma: “Caro Alfio, queste le dimensioni definitive: m 35 la larghezza e m 8 l’altezza rispetto al punto di appoggio (la sommità del terrapieno). Il modello per il multiplo te lo mando in dimensioni reali di cartone. Ciao Mauro” Documento inviato alla ditta “Lucy V.R. Passett” di Polverigi (AN) che, come da richiesta dell’autore, creerà la nuova opera.
Diverse sono le variazioni progettuali e dimensionali esplorate per l’opera '”Accoglienza” con
appunti di forma, significato, ambientazione e dettagli costruttivi.
“A ‐ rond point ‐ rondò ‐ pavimentato con breccini pesaresi fissati a cemento con interstizi larghi per erba. Punti luce incastrati con trasparente a raso. Non ha problemi di manutenzione
B ‐ cordolo in pietra + prato inglese (pone problemi di manutenzione). Recupero materiale: Fare ex
novo due conci centrali per ancoraggio; ridisegnare due estremità. La soluzione semplifica
radicalmente tutti i problemi di statica e di sicurezza; richiede una unica fondazione centrale: le due estremità si riutilizzano senza problema costruttivo, né tantomeno statico.
n.b. il materiale ‐ ferro ‐ richiede un trattamento antiossido; zincatura prima dello strato di
cemento‐resina garantisce a tempo indeterminato ed è di semplice esecuzione.”
Attualmente la scultura si trova sul medesimo rondò, imbrigliata e costretta tra le infrastrutture stradali di periferia e la prossimità a spazi logistico‐commerciali, rispetto ai quali non possiamo contemplarla per vicinanza fisica perché non raggiungibile, ma per transitorietà avvolti da un
veicolo. Il confronto con lei, più che corporeo è visivo e si rivela nell’apertura verso l’alto e
controllata liberazione alla grandezza del cielo, l'inafferrabilità genera un’energia percepibile
visivamente nell’avvicinamento al suo corpo metallico. La posizione evita ogni allineamento con gli assi stradali generando prospettive di arco sempre differenti che rafforzano il senso del salire in prospettive di segni ad “U” morbide ed acute, con alternative visuali di delicati e prorompenti segni di elevazione, come le braccia ginniche di sua figlia Giulia a Seul.
La storia che caratterizza la vita di Omaggio all’Alba, unitamente all’intera operazione artistica del 29 giugno 1997 è caratterizzata dalla grande partecipazione di artisti e noti critici, come Hugh M. Davies, direttore del Museum of Contemporary Art di San Diego California, ed al contempo un grande movimento popolare che nella città si è aperto per contrastare l'occupazione artistica.
Pesaro vive questo fervido contrasto come luogo che ha accolto come pioniere l’arte
contemporanea dalle grandi dimensioni, con interventi e protagonisti di calibro internazionale,
lasciando invadere sperimentalmente lo spazio urbano per creare eventi culturali rilevanti che
hanno dato un riscontro positivo anche all'economia e al turismo della città, oltre a generare un
grande patrimonio d’autore su tutto il territorio. Questo ha portato molta partecipazione della
cittadinanza con vigorosi animi di adesione e contrasto. Infatti dopo la personale di Eliseo
Mattiacci, la mostra dedicata a Mauro Staccioli fu un evento che ha mobilitato cittadini italiani e stranieri, commercianti, docenti e politica.
Condizione che si crea perché la cittadinanza vive la presenza delle opere invasione di ingombranti e ostili presenze, al vivere e alle attività dei commercianti, richiamando la raccolta di 5000 firme per la loro rimozione. Due voci singolari emergono fra i concittadini che pubblicano sui giornali testimonianze personali: Tino Banini italiano da tempo trasferito ad Augsburg Germania “penso che la mostra abbia centrato l'obiettivo prefisso, attirare l'attenzione e far discutere...mi sono sentito orgoglioso di essere pesarese, una città che ama arte e cultura”, insieme al dissenso dell’insegnante dell’istituto Genga, Emma Corvo, per la quale le opere scultoree dovevano essere posizionate in altro luogo, perché così la città viene sciupata rovinata da queste presenze per cui si aspetta con pazienza la loro rimozione. La politica, dei diversi schieramenti, è in contrasto con il sindaco, puntualizzando anche la necessità ad una educazione all’arte contemporanea senza la quale non si può comprendere.
I giornali più importanti parlano del grande valore di questa mostra, dall’Arte, Avvenire,
L’Osservatore Romano, L’Arca, Domus, Arte, Il tempo, Artforum, Art Leader ecc. e già dai giorni
che ne precedevano l'inaugurazione i mormorii nel posto erano accesi e nei giornali locali Loreno
Sguanci difende il valore del grande lavoro portato dall’artista Staccioli, insieme all’Assessore al progetto Luciana De Angelis, così come il sindaco Giovannelli, il quale sostiene che non si può negare l'autonomia ad un'artista che decide di realizzare una scultura in uno spazio, così come l'amministrazione in piena autonomia può scegliere di fare un’iniziativa culturale. “Mario Staccioli è un grande artista ed è necessario superare il provincialismo dei cittadini quando si è di fronte a un intervento così rilevante in ambito culturale. Questi conflitti lasciano turbamento, ma fanno crescere il confronto e la cultura di una città, valorizzando il centro storico.” A sostegno dell’intervento si unirono artisti, pittori, ceramisti: da Roma Fulvio Ligi, Claudio Palmieri, Tullio Catalano, Giancarlo Sciannella, Eduardo Palumbo, Giancarlo Limoni, Carla Salanitro, e l'antropologo Gianluca Ligi, da Pescara Leo Strozzieri, da Urbino Giorgio Bonpadre; da AscoliPiceno Claudio D’Angelo e Rosanna Flammini e Massimo Dolcini a testimoniare l’acclarato valore
artistico dell'autore e caldeggiare l'esperienza considerando l'importanza culturale dell'evento in sé e il lustro che questo darà a Pesaro.
Relativamente la vicenda, il critico d’arte Timo Keinänen, corse a Pesaro non appena seppe di
quanto stava accadendo. Si trovava alla Biennale di Venezia, ed apprese che in città si stava
installando questa mostra, al primo accesso sulla strada rimane colpito dalla bellezza ed al
contempo stupito della reazione dei commercianti e dei cittadini, affermando: “Si tratta di sculture astratte, e naturalmente chi non segue l'arte fa difficoltà a capire la loro importanza. Queste opere non devono essere guardate come triangoli, come piramidi. Sono opere che cambiano l'atmosfera, l'ambiente della strada. Guardando le sculture i cittadini possono capire meglio la città in cui vivono. Per esempio, il portone gotico della chiesa di Sant'Agostino, ha una forma triangolare, la stessa forma che in modo moderno ripete Staccioli con la sua scultura. Suggerisco quindi hai pesaresi di guardare meglio, con più attenzione le sculture e soprattutto di aspettare, prima di esprimere valutazioni definitive, e che la mostra di Staccioli sia allestita nella sua interezza”.
Fai vivere fu il motto con cui si aprì la quiete su questo dibattito. Espressione del Conte Alessandro Marcucci Pinoli il quale scosso dagli eventi contro le Piramidi creò un tavolo riconciliante presso l’Hotel Savoy con i protagonisti del dibattito: Loreno Sguanci, il poeta Gianni Delia, il direttore della Confcommercio Amerigo Varotti, l'operatore culturale Piergiorgio Spallacci, e la coppia di esperti in comunicazione, Graziella Rocca e Graciela Galvani. Contesto nel quale la polemica si concluse nell'accordo di replicare l’anno successivo l’iniziativa a patto di coinvolgere i cittadini.
FUNZIONE DELL’OPERA: Si intrecciano differenti funzioni e finalità, dettate dall’uso e conservazione della materia e l’ordine dal segno arcuato. In cui il ribaltamento ed alterazione metrica ne cambia ruoli e significati. La certezza del proprio destino era portarsi all’esterno, passando attraverso la dimostrazione di cosa significa costringere un segno “naturale” gigante ingabbiato nei limiti, che genera la percezione di bilico su esili appoggi. E poi l’esigenza di donarsi all’Alba come sua emulazione attraverso la smaterializzazione nei vertici dell’origine che oggi sono rivolti verso l’alto non per scomparire sulla linea di terra ma per integrarsi direttamente con la vita artificiale, costruita e mobile della città.
Brani tratto da, Staccioli, Edizioni Charta, Milano, 1997, pag. 9
“Una fra le ragioni che si pongono a sostegno degli interventi del Centro per le Arti Visive
“Pescheria” è la convinzione che l'opera artistica ha la capacità di indurre alla riflessione
contribuendo a far meglio sviluppare la coscienza dell'uomo e quindi aiutarlo ad elevare il livello qualitativo della sua consapevolezza.
In armonia con questa convinzione e coscienti che “l'arte produce ragionamento”, quest'anno
abbiamo pensato di invitare lo scultore Mauro Staccioli a realizzare a Pesaro una mostra che oltread occupare lo spazio espositivo entrasse fisicamente nel tessuto della città per far dialogare le nuove forme plastiche con la corte, la strada è la piazza, dando così al cittadino l'opportunità di riconsiderare lo spazio quotidianamente vissuto rivivendolo emotivamente in virtù di inediti incontri. Ed è proprio con l'incontro di forme essenziali, scabre a volte aspre, ma sapientemente poste in un luogo che Mauro Staccioli crea in quanto queste presenze, coinvolgendo lo spazio urbano, determinando nuove direttrici per lo sguardo e come scintille che accendono le emozioni e
la mente, compongono una nuova unità di spazio e di forma che coinvolge prende in sé l'uomo.
Dice Mauro Staccioli: “Fare scultura è essere in un luogo, possederlo, sentirlo addosso, come il
nudo caldo di un corpo […]” e immaginare una scultura rimanda “[…] al piacere di un abbraccio
pieno d'aria da occupare col senso della vita […]”. Questo abbraccio reso tangibile dal grande arco
esposto alla “Pescheria” rimarrà a Pesaro per sempre a testimoniare un momento pienamente
vissuto che credo concorre a dare ulteriore valore all'anima civile della nostra città”.
Dall’intervista con Alessandra Pioselli.
Il tuo rapporto con la storia dei luoghi passa sempre attraverso la loro forma?
“La forma del luogo e una pagina scritta sulla quale disegnare la scultura. Quando inizio il lavoro
fotografo molto luogo. La fotografia mi offre un ordito di segni, profili, altezze, indicazioni di
memorie. Disegnandovi sopra ho dei punti di riferimento che mi permettono di alzare, abbassare,
ingrossare, restringere, dividere, elaborare un'idea. A metà degli anni Settanta scrissi che pensare
un’arte per la città significa assumere la città con le sue morfologia umane, storiche, formali,
visive, come materiale e segno plastico. Il contesto storico e umano della città diventa parte della
scultura. La comunicazione è contenuta in questa interazione.
Brano tratto da, Tedeschi F., (a cura di), Mauro Staccioli. Idea dell’oggetto dell’idea, A arte Studio Invernizzi, Milano, 2000, pag. 111
DESCRIZIONE:
Opera 1
Omaggio all’alba 1997
Arco rivolto verso il basso che costruisce un omaggio al miracolo naturale che ogni giorno viviamo, riassunto in un segno chiaro che cambia la sua consistenza nella prospettiva di visuale.
Opera 2
Opera per il rondò 2002
Primi appunti nella fase di ripensamento dell’opera in funzione del nuovo sito della città:
Il segno interattivo “suggerito”
L'aspetto simbolico e lo spazio
L'opera e il suo confine
Autonomia e qualità autoreferenzialeIl colore del materiale
Assieme di diversità: affinità dei diversi (nella forma e nel colore)
L’idea è l’oggetto nell’area:
Barriera/condizione dell’area
Suggestioni storiche, morfologiche, atmosfere del luogo
Condizione esistenziale
Il tempo e lo spazio
Gli equilibri sospesi
L'attraversamento del “segno”
COMPOSIZIONE:
Opera 1
Omaggio all’alba 1997
Da disegni d’archivio, l’opera dallo sviluppo ad arco verso il basso, è uno scatolare a sezione
triangolare con base di 70 cm ed altezza di 135 cm. Lo sviluppo è costituito dall’unione di 11
segmenti. Lo scatolare è composto da lastre in acciaio corten saldate, spessore 6 mm.
La soluzione figurale e tecnica di ancoraggio dell’arco, posto parallelamente alla dimensione
longitudinale della sala espositiva della Pescheria, ha le due basi di appoggio tagliate con sezione
triangolare il cui segmento di 70 cm è saldato su piastra e fissato a terra su fondazione cementizia.
Dimensioni dell’opera 3400, 850, 70 cm
Opera 2
Opera per il rondò 2002
L’opera con sviluppo ad arco verso l’alto, è uno scatolare a sezione triangolare composto da lastre
in acciaio corten saldate, in parte recuperate da “omaggio all’alba”.
Il baricentro a terra della curva è l’unico punto di appoggio e di fondazione.
La soluzione figurale è posata come arco simmetrico con sviluppo dei vertici rispetto l’incrocio
stradale in direzione nord‐ovest, sud‐est disallineato alle viabilità.
Dimensioni 3500, 800, 70 cm
BIOGRAFIA:“Mauro Staccioli nasce nel 1937 a Volterra e si diploma nel locale Istituto d’Arte nel 1954. Dopo un primo periodo in cui sperimenta la pittura e l’incisione, dalla fine degli anni Sessanta si dedica alla scultura, concentrandosi sul rapporto tra arte e società e sviluppando l’idea di una scultura che si pone in stretta relazione con il luogo – inteso nella sua concezione sia fisica che sociale – nel quale e per il quale è stata realizzata. Elabora quindi “sculture‐intervento” che si pongono in profonda relazione con gli spazi nei quali vengono collocate. L’artista sceglie fin da principio un linguaggio caratterizzato da una geometria essenziale e dall’uso di materiali semplici come il cemento e il ferro. È nel 1972 che Staccioli matura l’idea di organizzare una serie di “sculture‐intervento” nella città di Volterra; la mostra Sculture in città segna così una svolta aprendo agli spazi urbani quel che fino ad allora era relegato solo negli spazi chiusi di gallerie e musei. Staccioli ricerca e genera una “scultura‐segno” che nasce dall’attenta osservazione di uno spazio e che dialoga con esso sottolineandone le caratteristiche e alterandone la consueta percezione, suscitando domande e possibili risposte. Dalla mostra del 1972 prende corpo la manifestazione Volterra ’73 curata da Enrico Crispolti che apre la strada a questo nuovo modo di intendere la scultura e che per Staccioli trova completa espressione nella mostra Lettura di un ambiente – realizzata a Vigevano nel 1977 – un titolo che diventa metodo. Dopo una serie di mostre organizzate in gallerie e spazi milanesi (Studio Sant’Andrea, Studio Marconi, Galleria Bocchi) arriva l’invito alle Biennali di Venezia del 1976 e del 1978, anno in cui realizza il celebre Muro, una parete di cemento di 8 metri che ostruisce la visuale del viale d’accesso al Padiglione Italia, ponendosi quale segno critico e provocatorio. In questi anni il linguaggio dell’artista perde la durezza e l’aggressività che lo caratterizzavano, e che rifletteva l’aspro e violento clima politico degli “anni di piombo”, per sfidare apertamente lo spazio sovvertendone gli equilibri statici e dimensionali, generando effetti di straniamento nell’osservatore, come la forma in equilibrio sulla scalinata della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma del 1981, o il grande plinto sospeso sulla scalinata della University Gallery di Amherst in Massachussetts nel 1984, realizzato in occasione della sua prima personale negli Stati Uniti. Il confronto con l’architettura e l’ambiente urbano trova nuove soluzioni nella genesi dei grandi archi rovesciati realizzati all’interno della Rotonda della Besana a Milano (1987), davanti al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (1988) su invito di Amnon Barzel e nel piazzale principale del Parco Olimpico di Seul (1988) su invito di Pierre Restany. Negli anni Novanta l’artista continua a sperimentare nuove forme. In anni più recenti la feconda ricerca di Staccioli si è concretizzata in diverse installazioni in Italia e all’estero. Alla fine del 2011, in occasione del riordino e della riapertura delle sue sale espositive, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma acquisisce e installa una nuova opera di Staccioli – un anello di 10 metri di diametro – che viene collocato nel parterre della scalinata d’ingresso. Il 2012 si apre con la collocazione dell’opera Cerchio imperfetto nel giardino interno dell’Università Bocconi di Milano. In febbraio la Galleria Il Ponte di Firenze e la Galleria Niccoli di Parma inaugurano due mostre che rileggono i primi quindici anni di lavoro dell’artista, pubblicando il volume Mauro Staccioli. Gli anni di cemento 1968‐1982, un articolato catalogo delle sue opere in cemento degli anni ’70, frutto diuna ricostruzione filologica, svolta insieme all’artista. Alla fine dello stesso anno una personale alla Galleria Invernizzi di Milano esplora nuove prospettive di ricerca che trovano piena espressione nella partecipazione alla Biennale di Scultura di Racconigi nel 2013. L’anno seguente alla Triennale di Milano partecipa a Milano Gallerie. Dalle parti della scultura e della pittura, a cura di Francesco Poli. Lo Château de Seneffe in Belgio gli dedica un’importante mostra nel giardino storico, per il quale realizza due nuovi interventi scultorei. Sempre nel 2014 a Bruxelles le gallerie Antonio Nardone e Zaira Mis gli organizzano una duplice mostra sui suoi disegni e la piccola scultura. Nel 2018, dopo la sua scomparsa lo stesso anno, La Soprintendenza Speciale di Roma. Archeologia Belle Arti Paesaggio e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea gli dedicano una grande retrospettiva a Roma nelle Terme di Caracalla, Mauro Staccioli: Sensibile Ambientale (13 giugno ‐ 4 novembre 2018) a cura di Alberto Fiz. Staccioli è stato membro dell’Académie Royale des sciences, des lettres et des beaux‐arts de Belgique e Accademico Nazionale dell’Accademia di San Luca.” Riferimenti essenziali tratti dal sito https://maurostaccioli.org/it/biografia‐it/
BIBLIOGRAFIA:
Pubblicazioni:
‐ Staccioli, Edizioni Charta, Milano, 1997
‐ Mauro Staccioli, 1972 Volterra 2009. Luoghi d’esperienza/Sites of experience, Damiani, 2009
‐ Tedeschi F, (a cura di), Mauro Staccioli. Idea dell’oggetto dell’idea, A arte Studio Invernizzi,
Milano, 2000
‐ Lo Cascio A. (Diploma accademia belle arti e restauro “Abadir”), Mauro Staccioli. L’emergenza
della scultura, a.a. 2009/2010
Documenti tratti dall’archivio Mauro Staccioli:
‐ Fax del 26 aprile 1997 da Fabio Cavallucci, a Mauro Staccioli, Loreno Sguanci e Alberto Barbaro.
Bozza di comunicato stampa.
‐ Lettera del 6 giugno 1997 verso Mauro Staccioli da casa editrice Charta, con appunti manuali.
‐ Lettera inviata da Mauro Staccioli al Comune di Pesaro nella persona di Lorenzo Rossi Assessore
ai lavori pubblici e Alberto Miniucci Assessorato alla cultura. Prot. N° 4606/585.
‐ Delibera di giunta consiglio comunale numero 377 del 16 luglio 1998. Oggetto scultura “Omaggio
all'alba” di Mauro Staccioli ‐ donazione al Comune di Pesaro.
‐ Delibera di giunta consiglio comunale numero 1564 del 20 agosto 2002. Oggetto collocazione di
una scultura al centro della rotatoria e conferimento incarico all’artista Mauro Staccioli per lo
svolgimento dell’attività di consulenza nella reinterpretazione dell’opera “Omaggio all'alba”.
‐ Lettera che Mauro Staccioli invia al Comune di Pesaro nella persona di Lorenzo Fossi Vicesindaco
e Alberto Miniucci responsabile ufficio cultura.
‐ Fax del 23 luglio 2002 dallo Studio Staccioli al Sindaco Giovannelli e all’arch. Veris Mosconi del
Comune di Pesaro.Articoli giornali tratti dall’archivio Mauro Staccioli e Loreno Sguanci:
Artforum internazionale, 14 maggio 1997
Corriere Adriatico, n.165, 18 giugno 1997
Il Resto del Carlino, 19 giugno 1997
Il Resto del Carlino, 20 giugno 1997
Corriere Adriatico, n.168, 21 giugno 1997
AGES (Associazione giornalisti e stampa), n.381, 23 giugno 1997
Il Resto del Carlino, 25 giugno 1997
Il Resto del Carlino, n.174, 27 giugno 1997
Il Resto del Carlino, 30 giugno 1997
Il corriere laziale del martedì, n.26, 1 luglio 1997
L'Eco di Bergamo, n.179, 1 luglio 1997
Corriere Adriatico, n.179, 2 luglio 1997
Il Resto del Carlino, 3 luglio 1997
Avvenire, n.159, 6 luglio 1997
Secolo d'Italia, n.160, 8 luglio 1997
Il Giornale d'Italia, n.187, 9 luglio 1997
Il tempo, n.187, 9 luglio 1997
Il Resto del Carlino, 10 luglio 1997
La voce repubblicana, n.140, 18 luglio 1997
Corriere Adriatico n.202, 25 luglio 1997
Domus, n.795, luglio/agosto 1997
Vernissage, n.7, luglio/agosto 1997
L'u Art Leader, n.34, luglio/settembre 1997
Arte, n.288, agosto 1997
Polizia moderna, n.8, agosto 1997
Avvenire, n. 159, 6 luglio 1997
Il Resto del Carlino, 7 agosto 1997
Il Resto del Carlino, 8 agosto 1997
Quotidiano, n.193, 19 agosto 1997
Il Resto del Carlino, n.229 22 agosto 1997
Il Resto del Carlino, n.231, 24 agosto 1997
Arrivederci, n.90, 25 agosto 1997
Terzo occhio, Settembre 1997
L'Osservatore Romano, n 202, 3 settembre 1997
Libertà, n.212, 9 settembre 1997
Arte e critica, n.13, settembre e novembre 1997
L'Arca, n.118, settembre 1997
Interni, n.476, dicembre 1997
Oggi e domani, n.1/2, gennaio/febbraio 1998
Corriere Adriatico, n.118, 1 maggio 1998
Arte Mercato Aste, sei mesi di ripresa
Mauro Staccioli, Centro arti Visive, Pesaro. Di Antonella Michaletti
scheda a cura di Arch Valentina Radi
Giuliano Vangi, La scultura della Memoria, 2018, Piazza Toschi-Mosca

Giovanni Gentiletti “I Segni della Memoria”, Pesaro, Musei Civici

“I Segni della Memoria”
Pesaro, Musei Civici
Tipologia di manufatto
Scultura per lo spazio pubblico
Autore
Giovanni Gentiletti
Denominazione
“I Segni della Memoria”
Dimensioni
H. 164 cm x L. 55 cm x sp. 4,5 cm
Luogo di collocazione
Pesaro, Musei Civici
Materiale
Rame su supporto in ferro brunito
Soggetto
Rielaborazione scultorea su lastra di rame di una pittura rupestre
STORIA: L’8 Marzo 2021 il consigliere Emanuele Gambini portò all’attenzione del consiglio comunale la proposta di intitolare un luogo pubblico alla memoria dello scultore Giovanni Gentiletti, votata poi all’unanimità dall’intera assise.
Essendo già in essere una collaborazione attiva con il sistema museale del Comune di Pesaro, su indicazione della famiglia e in accordo con l’Assessore Daniele Vimini, si decise di collocare una sua opera inedita nella corte interna dei Musei Civici con una cerimonia che avvenne sabato 9 Aprile 2022.
FUNZIONE DELL’OPERA: Il complesso scultoreo di Giuliano Vangi sembra dapprima invitarci a varcare la soglia di Palazzo Mosca sede dei Musei Civici, poi nella corte interna, i visitatori dei musei verranno accolti da un connubio scultoreo che vede dialoganti 2 artisti marchigiani, maestri dei metalli: Eliseo Mattiacci con la sua opera di ispirazione cosmico astronomica l’Occhio del Cielo in acciaio corten e Giovanni Gentiletti con la sua stele in rame I segni della Memoria.
L’opera si pone in collegamento ideale con la sua casa-Museo a Santa Maria dell’Arzilla che, facendo parte del circuito Pesaro Musei dal Luglio 2020, è aperta ogni terza domenica del mese.
La stele di Gentiletti vuole essere un invito a visitare la sua officina-studio come suggerivano pochi anni fa anche Jacqueline Ceresoli e Anna Lorenzetti:
Per capire la sua arte è necessario andare nel suo atelier immerso nelle colline marchigiane dalle curve sinuose, così entrerete nel suo mondo fantastico, in cui le sculture interagiscono con lo spazio circostante, dove si sente ancora l’odore acre dei metalli e si ha la sensazione di avvertire la sua presenza iscritta nelle sue opere. (Jacqueline Ceresoli).
Un viaggio, vale veramente un viaggio questa visita nel cuore delle colline marchigiane, fra la valle del Foglia e quella del Metauro, nella Casa-museo Gentiletti, dove un uomo ha costruito un sogno che non è fatto di materia impalpabile ma di metallo pesante (Anna Lorenzetti).
DESCRIZIONE: La stele di Giovanni Gentiletti evoca le antiche rappresentazioni antropomorfe e zoomorfe del Paleolitico e del Neolitico, è come una pittura rupestre emersa dai millenni della Preistoria realizzata su una lastra di rame che si increspa e alterna superfici lisce e lucenti ad altre più scure e attraversate da una miriade di piccoli cardi.
La passione Sulla lastra di rame si riconoscono molteplici elementi figurativi in bassorilievo descritti minuziosamente dallo Storico e amico Nando Cecini:
“La sua scultura affonda nei millenni della preistoria per lanciare un messaggio nel segno dell’eterna bellezza. Il segno di un’onda, un fiore, una stella, un sole raggiante, una ruota, il profilo di una collina o più semplicemente una figura umana che tende l’arco compongono un testo scultoreo da interpretare in chiave metastorica”.
“I pittogrammi di Gentiletti nascono dalla fantasia e non contengono nulla di specifico se non il segno lasciato alla libera interpretazione del lettore che vi può cogliere la chiave semantica a lui più congeniale”.
Ritengo che il modo migliore per presentare questa opera realizzata nel 1994 sia riproporre alcuni estratti di Storici e Critici d’Arte che hanno commentato la produzione artistica di Gentiletti nei primi anni ’90:
“Gli strappi e le increspature che opera sulle lastre mediante l’ausilio della fiamma ossidrica, sono un calibrato rapporto, tra sfondo, segno e superficie. Nella sua costante ricerca di autenticità espressiva , le nuove lastre, frastagliate e articolate su piani differenti, traducono emozioni, fermano suggestioni e fissano inquietudini “(Athos Tombari).
“Accanto alla straordinaria padronanza dei metalli e delle tecniche di lavorazione degli stessi, si evidenzia una nuova sensibilità estetica, che ha le radici nel recupero della “scrittura” (Aldo Colonetti)”.
“E’ evidente che le sculture di Gentiletti, contaminando l’astratto con il reperto di sapore archeologico, restituiscono all’oggetto il significato d’uso, prevalentemente pubblico e ciò facendo sviluppano fin dalle prime istanze la loro disponibilità alla pubblica visibilità.
La piena coerenza dell’invenzione di un nuovo linguaggio di segni assimilabili a quello antico giuridico-sacrale unitamente alla leggibilità, che procede per vie archetipiche, costituisce per l’opera di Gentiletti un vero punto centrale della sua complessa ricerca“ (Silvia Cuppini).
Infine un estratto di Valeria Alberini interpreta efficacemente il titolo dell’opera:
“La passione per gli antichi segni grafici come strumenti elementari di comunicazione, il senso del Tempo e la presenza di una Memoria remota da tramandare lo portano all’invenzione di queste tavole quasi come fossero iscrizioni archeologiche non vere ma verosimili”.
Mi piace pensare che questa opera sia un racconto da interpretare e una testimonianza: sulla parte sinistra della lastra alcuni ideogrammi traducono echi di una guerra più vicina a noi di quanto si creda, sulla parte destra, altri elementi figurativi traducono la pace come un sentimento da custodire e conquistare ogni giorno, una speranza simboleggiata dalle due figure umane che si tengono per mano.
L’opera I segni della Memoria è per me un invito a leggere questa Storia scritta sul rame e impressa in modo indelebile con la fiamma ossidrica per non ripetere gli errori del passato.
COMPOSIZIONE: L’opera “I segni della Memoria” è come un totem preistorico costituito da una lastra di rame di 39 x 148 cm fissata su un supporto in ferro brunito di 55 x 164 cm di altezza.
Documenti, testi e audio di proprietà della famiglia di Giovanni Gentiletti
Rilevo delle criticità
- Molte delle opere presenti nel contesto urbano necessitano di interventi di recupero e/o restauro (le più urgenti: Colla, Bompadre, Sguanci / Poli s Pali, Falena, Porta a Mare) , altre di essere ricollocate ( Colla, Miniucchi).
- Non esiste alcuna descrizione e/o catalogazione delle opere o quantomeno un format unico di presentazione delle stesse, ne materiale di divulgazione culturale/turistico ad esse riferito.
- Nelle recenti ricostruzioni storiche legate a eventi espositivi, conferenze e pubblicazioni il ruolo della città di Pesaro negli eventi artistici degli anni ’70 non è menzionato, nonostante che, dopo le esposizioni di Volterra ‘73 e Gubbio ’74, Pesaro abbia concretamente realizzato nel ’76, a seguito di bando, un parco di sculture contemporanee che riflette appieno i principi ispiratori di quella rivoluzione artistica e socio-politica.
- Il valore storico artistico del patrimonio cittadino evidenziato non è noto ai più. Solo una ristretta cerchia di appassionati conosce gli autori che hanno realizzato le opere nella città di Pesaro, mentre le nuove generazioni hanno seguito sporadiche attività scolastiche dedicate all’argomento, ma solo in pochi istituti.
Archivio Loreno Sguanci: le nostre azioni
Con il Progetto Parco Scultura - Pesaro, L’Archivio Loreno Sguanci , assieme alle istituzioni e associazioni in rete ed in rapporto di collaborazione, realizzerà:
- eventi divulgativi e formativi, (Conferenze, Eventi con crediti formativi, mostre ecc.) a carattere culturale sul Parco Sculture di Pesaro e sugli autori del Parco Sculture.
- strumenti per il grande pubblico: canali social dedicati per la comunicazione; schede delle opere e degli autori del Parco Sculture di Pesaro; mappe per la localizzazione delle opere; pubblicazioni relative alle opere ed autori del Parco Sculture di Pesaro.
- Sito internet Le parole chiave per la costruzione di questo strumento sono: Accessibilità, Usabilità e Sostenibilità. Accessibilità è la capacità dei sistemi informatici , nei limiti delle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, , anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di particolari tecnologie o configurazioni particolari ( legge Stanca del 2004). Usabilità è la caratteristica del servizio di rispondere a criteri di facilità e semplicità d’uso, di efficienza, di rispondenza alle esigenze dell’utente, di gradevolezza e di soddisfazione nell’uso del prodotto. Ad esempio una caratteristica di usabilità dello strumento è la conformazione di un sito che permette in ogni momento di visualizzare dove l’utente si trova mentre fa le sue ricerche. Sostenibilità si riferisce agli strumenti accessori ,brochure digitali, libri digitali etc, direttamente scaricabili dal sito o da apposite piattaforme che producono informazione ma non carta stampata e laddove sia necessario stampare , ad esempio il materiale di informazione turistica presso gli uffici, l’uso della carta sarà limitato dal format del prodotto scelto (libri componibili). E’ chiaro che il sito da solo non innesca un processo di ampia comunicazione dell’oggetto “Parco Sculture di Pesaro” per cui nel tempo il sito verrà supportato da social quali FB, Instagram e Youtube e tradotto in lingua inglese per una navigabilità bilingue.
- azioni di rete volte al recupero e/o restauro delle opere del Parco Sculture di Pesaro.
All’Amministrazione Comunale chiediamo:
dopo aver preso visione del Progetto Parco Urbano Sculture - Pesaro e dopo aver rilevato l’utilità pubblica del progetto stesso,
- di stabilire un rapporto formale con L’Associazione Culturale Archivio Loreno Sguanci (Associazione Capofila della rete) che veda l’Archivio soggetto riconosciuto e accreditato nella realizzazione di eventi legati alla divulgazione culturale e turistica di quanto inerente il Parco Sculture di Pesaro e nella gestione degli strumenti posti in essere ( pagina FB, canale Youtube ecc.);
- di rendere possibile il rapporto (non oneroso) tra Archivio e chi già gestisce gli spazi museali cittadini e di radicare un suo rapporto con il CDA della Fondazione Pescheria - Centro per le Arti Visive;
- di inserire le iniziative elencate e future nella comunicazione sezione Cultura al 1° livello di esistenza della rete civica e nel 2° livello quello della programmazione di iniziative cittadine;
- di sostenerci nella diffusione e creazione di comunicati e conferenze stampa attraverso gli uffici comunali preposti e di produrre il materiale informativo e turistico sul Parco Sculture di Pesaro;
- di partecipare unitamente all’Archivio a bandi locali, regionali e nazionali per ricerca fondi destinati ad iniziative condivise;
- di operare attivamente ad implementare la rete di collaborazione e sostegno dei soggetti istituzionali e privati attiva per il Progetto Il Parco Urbano Scultura - Pesaro
Aderenze motivazionali
Le motivazioni relative all’adesione dell’Ordine degli Architetti, Paesaggisti, Pianificatori e Conservatori, della Provincia di Pesaro ed Urbino
Vai al sito web dell'ordine degli architetti della Provincia di Pesaro ed Urbino
L’Ordine degli Architetti, Paesaggisti, Pianificatori e Conservatori, della Provincia di Pesaro e Urbino accoglie l’invito ad aderire al Progetto Parco Urbano Scultura - Pesaro, in quanto nelle sue finalità di Ente pubblico che tutela la qualità dell’opera architettonica e urbana di cui l’arte monumentale è parte integrante. Sculture che si fanno elementi guida nella narrazione dello spazio urbano e nel progetto del paesaggio della città definendo percorrenze, generando appartenenza e riconoscibilità dei luoghi e delle comunità che la abitano. Come afferma Baudelaire queste ammettono “[…] intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l’infinito […]” e l’osservazione orienta il ritmo dei passi, lo sguardo e il fluire di significati che queste saranno in grado di ammettere per ciascun individuo.
La nostra Provincia annovera un ampio patrimonio dell’arte e di grandi maestri che in questa terra hanno origine e si sono formati. L’iniziativa è occasione di rendere accessibile questa ricchezza ed accrescere una sensibilità che possa fare rete, come conoscenza, e impulso a iniziative partecipative, favorendo una rinnovata stagione di valorizzazione e progettazione degli spazi pubblici, per un loro ritrovato ruolo sociale.
Le motivazioni relative all’adesione dell’Associazione Azobé Onlus
Vai al sito web di Azobè Onlus
L'unità didattica, prevista dal progetto Di-Versi è la poesia della vita, attiva per i bambini e gli adolescenti ospiti del Centro Baricentro, percorsi laboratoriali e di formazione ( questi ultimi anche per adolescenti delle classi superio ) rivolti a sanare situazioni problematiche individuali o famigliari e rende disponibili approfondimenti tematici strumenti didattici per i gruppi classe delle primarie di secondo grado. Ed anche se, nella ciclicità degli interventi, raggiunge un alto numero di fruitori necessita di essere rinforzata da un ciclo di eventi divulgativi capace di coinvolgere e portare in rapporto una fetta più ampia di cittadinanza proprio in considerazione del fatto che il riconoscimento del valore intrinseco della diversità individuale ed etnica poggia su solide fondamenta di formazione culturale e di trasformazione ambientale.
Le motivazioni relative all’adesione della Cooperativa sociale Tiquarantuno-b
Vai al sito web di Tiquarantuno b
La cooperativa sociale Tiquarantuno B, accoglie l'invito ad aderire al Progetto Parco Urbano Scultura - Pesaro in quanto riteniamo ii progetto di grande valore per ii territorio, un arricchimento della nostra comunità, un patrimonio accessibile a tutti ed un elemento di
grande valorizzazione degli spazi pubblici.
La T41B e una realtà storica del terzo settore del nostro territorio, da piu di quarant'anni
forniamo risposte di inclusione sociale e lavoro a decine di persone appartenenti alle categorie svantaggiate. Un contributo molto concreto che produce relazioni, solidarietà ma anche tanti servizi utili alla collettività, a vantaggio delle persone e dell'ambiente dove queste vivono. Da anni, tra le tante attività, gestiamo servizi alla comunità Pesarese, relazionandoci positivamente con i cittadini e gli enti che vi operano.
La volontà di associarsi al Progetto e di iniziare una fattiva collaborazione e per noi un elemento di arricchimento e un passo coerente con la nostra storia. Possiamo mettere a disposizione del progetto la nostra esperienza, competenze ed attrezzature anche negli ambiti della comunicazione e divulgazione. lnoltre potremmo operare attivamente ad implementare la rete di collaborazione e sostegno del Progetto. lnfine, su mandato operativo dell'Associazione, potremmo collaborare nella cura e manutenzione delle opere del maestro coinvolgendo in tale iniziativa sia personale qualificato che le persone svantaggiate inserite al lavoro in cooperativa.
Le motivazioni relative all’adesione del Rotary Club Pesaro Rossini
Vai al sito web di Rotary club pesaro rossini
..A seguito degli accordi intercorsi, ho il piacere di comunicare il formale impegno del Rotary Club Pesaro Rossini a favore del progetto “Parco Urbano di Scultura” della città di Pesaro.
Più specificamente, l’impegno del Club sarà rivolto a sostenere finanziariamente il restauro e la straordinaria manutenzione di una delle Opere del Parco Urbano, la scultura “Dove nasce l’Arcobaleno” di Giorgio Bompadre collocata a Pesaro, in via Mario Del Monaco, nel 1995.….” Giorgio De Rosa.
Le motivazioni relative all’adesione dell’Associazione Culturale Macula
Vai al sito web di Macula
L'associazione culturale Macula - Cultura Fotografica aderisce al Progetto Parco Urbano Scultura - Pesaro perché in piena sintonia con alcuni dei principi di fondo che ispirano la sua attività. Le iniziative organizzate da Macula negli ultimi 10 anni (le installazioni interattive che hanno coinvolto il pubblico di festival come Popsophia, il Festival della Saggistica, Zoe Microfestival; i laboratori didattici presso scuole e centri di aggregazione; i progetti Autobiografia di una città e Vorrei che fosse; le raccolte di fondi fotografici storici ecc.), infatti, hanno avuto come obiettivi primari la diffusione di una cultura dell'immagine presso il grande pubblico dei non addetti ai lavori, la partecipazione attiva dei cittadini ai processi di trasformazione della città e la ricostruzione di una memoria condivisa e di un senso di appartanenza collettiva. Gli interventi di Macula rispetto al progetto Parco Urbano Scultura si declinerebbero secondo due direttrici. Una più ampia e generale che vede la fotografia come strumento di ricognizione dello stato attuale e di riflessione sull'impatto fondamentale delle sculture inserite nel contesto urbano; un'altra che invece prevede un intervento di valorizzazione del progetto Memoria realizzato da Loreno Sguanci presso il centro commerciale Miralfiore nel 1992 in ricordo della ex fabbrica Montecatini che lì sorgeva. Nel 2020, infatti, in collaborazione con l'ISIA di Urbino e a partire dalle 400 fotografie d'epoca raccolte nel corso degli anni, Macula ha realizzato un catalogo e un sito dedicati a quello che fu uno dei più grandi complessi industriali della storia pesarese. Il progetto prevede nei prossimi mesi un nuovo allestimento site specific presso la Galleria dei Fonditori, durante il quale verrà recuperata anche la documentazione relativa all'intervento di Sguanci.
Le motivazioni relative all’adesione del B&B Dai Ventu
Vai al sito web di B&B Dai Ventu
Il B&B “Dai Ventu” per la particolare tipologia della struttura ricettiva , desidera costituirsi come punto di riferimento anche per la città che lo ospita. Le modalità che è stata scelta per il conseguimento dell’obbiettivo è quella di caratterizzare la struttura stessa con arredi e architetture interne che rimandino ad autori e protagonisti salienti della vita pesarese. Cinque stanze per cinque autori sono state studiate nei particolari e dedicate ad artisti che hanno rilanciato la ricerca nelle arti visive intesa nel suo ampio spettro di applicazioni. Il desiderio è quello di promuovere sensibilità e divulgazione sui temi delle arti, della grafica, della comunicazione, del design legati a Pesaro facendo riferimento alla nostra storia recente: gli anni 60,70 ed 80, e non dimeno caratterizzarci per il taglio di offerta turistico - culturale. Alla scelta degli arredi interni verrà pertanto abbinato un programma di eventi per approfondire il ruolo e le opere di autori – pesaresi e pesaresi di adozione – che hanno segnato anni particolarmente fertili nella cultura della città. Il turismo è un impegno ma il turismo di qualità respira della stessa vita della città: motivo per il quale ricerchiamo
la collaborazione con le istituzioni culturali e gli istituti scolastici del territorio.
Se l’ospitalità è la parte estroversa dell’attività del nostro B&B, atta a promuovere “nel mondo” la nostra identità, l’approfondimento e lo studio della nostra matrice culturale è quella introversa, rivolta alla città e alla sua gente, per depositare nella memoria collettiva, una storia che deve essere raccontata e tramandata.
Le motivazioni relative all’adesione di Wunderkammer Orchestra
Vai al sito web di Wunderkammer Orchestra
La Wunderkammer Orchestra collabora con l’Archivio Loreno Sguanci e con l’Associazione Azobé Onlus allo scopo di creare eventi performativi che uniscano in modo sinergico differenti discipline artistiche. Tali eventi permettono una rilettura delle opere del Parco Urbano di Scultura di Pesaro, un coinvolgimento emozionale dei fruitori e consentono un approccio dinamico ai luoghi e alle piazze che accolgono le opere d’arte architettoniche. “Lo spazio in ascolto/la voce della scultura” nasce come un organico corpo di iniziative pluriennali all’interno della cornice ampia delle attività del progetto “Il Parco Urbano di Scultura di Pesaro”. L’evento del 2021 contestualizzato presso piazza Mosca dove è stata collocata l’opera “La scultura della memoria” di Giuliano Vangi, rappresenta la puntata numero zero di un sequel da realizzarsi con il Comune di Pesaro e con i partner presenti in rete.
Archivio Loreno Sguanci e
Pesaro Capitale italiana della Cultura 2024
Il 2022 ha visto la candidatura e la proclamazione di Pesaro a Capitale italiana della Cultura 2024. L’Archivio Loreno Sguanci, chiamato ad una partecipazione attiva in fase di progettazione della sezione Sculture in città Reloaded, ha dato il suo contributo di fatto ottemperando ad un rapporto di collaborazione con Il Centro per le Arti Visive Pescheria di Pesaro. Un percorso di rigenerazione dello spazio urbano, ma anche di ricerca, catalogazione, divulgazione e fruizione da abbinare a nuovi itinerari culturali tra differenti comunità e città anche extra-territoriali. Un viaggio nella cultura che unisce, che recupera spazio ma che esige anche uno spazio qualificato e qualificante. L’Archivio Loreno Sguanci non opera solitario nel territorio, ricerca contaminazioni e connessioni con altre realtà associative, cooperative, private e pubbliche. Di qui il conseguente e necessario coinvolgimento della rete già attiva per il progetto “Il Parco Urbano di Scultura di Pesaro”. Di fatto Sculture in città Reloaded rappresenta per l’Archivio stesso il naturale ampliamento prospettico delle iniziative finora svolte per la riscoperta, valorizzazione e diffusione dell’Arte Urbana che dagli anni ’60 arricchisce il tessuto cittadino e che mostra un approccio metodologico alla città capace di sostenere l’idea e la costituzione di un vero e proprio parco diffuso.